FOOTWEAR

21 Giugno 2020

Articolo di

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Redazione

Com’è nata la storica linea Reebok Pump?

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21 Giugno 2020

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Com’è nata la storica linea Reebok Pump?

La nostra rubrica incentrata sulla celebrazione delle sneakers più iconiche presenti sul mercato, ci porta a scoprire la strana storia delle Reebok Pump, una scarpa diventata criptonite per marchi già affermati come Nike, adidas e Puma, che ha saputo farsi valere sia nel mondo dello sport, sia sulle più importanti e rispettate passerelle delle fashion week.

Ma precisamente, da cosa nasce il termine "pump"?
Con questa nuova tecnologia Reebok, azienda statunitense fondata nel lontano 1895, mirava a riscrivere l’estetica del design di una scarpa da corsa, dando vita ad un prodotto iconico, tanto per l’aspetto fisico quanto per quello prestazionale.

Il team dietro alla realizzazione della scarpa, testimonia come il designer Steven Smith e il project manager Paul Litchfield abbiano fin da subito in qualche modo optato per ispirazioni differenti rispetto a quanto fatto da Tinker Hatfield per Nike. Ad esempio, la silhouette prende forma su un vecchio modello di scarpone da sci che presentava un "sistema di pompaggio"; un po' il caso, un po' l’estro e la necessità in un mondo di icone di essere costretti ad osare, condussero i due designer alla realizzazione di una scarpa dal fit personalizzabile, adatta allo sport come al quotidiano, di forte impatto estetico e in grado di poter concorrere con i progressi fatti da Nike con “Air”.

L’idea dunque era facile da capire: il pompaggio d’aria sarebbe avvenuto tramite la canalizzazione di quest’ultima in apposite camere gonfiabili, con lo scopo di ottenere un adattamento personalizzato.
Il resto è storia: il 24 Novembre 1989 la prima Pump viene ufficialmente rilasciata. Grazie all’innovativa tecnologia di pompaggio d’aria, all""Energy Return System", alla midsole in Hexalite e all’imbottitura a nido d’ape, Reebok conferì alle sue scarpe fit e prestazioni ideali. La valvola con il logo e il pallone da basket rappresentarono la ciliegina sulla torta con cui Reebok si prestava ad affrontare il tempestivo avvento degli anni '90. La line-up inizialmente rilasciata dall’azienda statunitense era limitata e includeva i modelli Omni Zone, Twilight Zone e Sxt Pump; i seguenti brevetti, rilasciati nel decennio in esame, servirono a consacrare ulteriormente la nuova tecnologia Reebok sul mercato, schernendo le medesime ricerche fatte da Bruce Kilgore e Nike.

Ed è proprio a partire dagli anni '90 che il Pump riuscì ad ottenere notorietà nel mondo dello sport. Le prime campagne dell’azienda lanciate al grido di “Revolution is over”, confluirono nello slogan “Pump up and Air out”, chiaro riferimento alla sfida intrapresa con il brand di Beverton. La querelle si sposta ben presto “on field”: il tennista Michael Chang, rigorosamente brandizzato Reebok, fu uno dei primi a tenere testa ad Agassi e alle sue Nike, così come il golfista Greg Norman riuscì a dominare nella gara ormai personale contro Curtis Strange. La svolta significativa tuttavia avvenne il 9 Febbraio 1991, quando la guardia dei Boston Celtics Dee Brown, con le sue Omni Zone IIs, ebbe la meglio nel Dunk Contest su Shawn Kemp, con una prova rimasta impressa negli annali dell’All Star Weekend: Dee diventa così il “Pump Hero” di cui il brand aveva bisogno.

Dee Brown

Reebok decise allora di ispezionare e concentrare la progettazione di scarpe su giovani promesse emergenti NBA: erano gli anni in cui Chicago iniziava la scalata verso il primo three-peat, evento che non fu in grado di eclissare l’emergere di nuove prospettive future; Reebok nel 1992 pescò in casa Orlando Magic, individuando nella figura del Rookie Shaquille O’Neal un incredibile potenziale: lo “Shaq Attack” viene contrassegnato mediante un monogram, collocato sulla valvola, e l’atleta viene inquadrato come potenziale “franchise” concorrente di Jordan. La scarpa presentava una linea sinuosa, fluida e decisamente più morbida dei suoi predecessori. Affianco a O’Neal vennero inquadrati atleti del calibro di Dan O’Brien, Dave Jhonson e figure provenienti dal mondo dell’Hip-Hop; la scarpa infatti, modello chunky per eccellenza, rispecchiava al meglio l’ideologia “Big is Better” tipica degli ultimi decenni del 900. La silhouette in esame avrà vita breve e vedrà la fine degli anni '90 come suo definitivo tramonto.

La tecnolgia Pump viene in contemporanea applicata, a partire dal 1994, al modello Fury, una sneaker dal taglio basso che presenta un sistema “slip-on” e un fit regolabile con il pompaggio d’aria mediante più camere. Nonostante un design “ugly”, un’estetica molto meno efficace rispetto alla silhouette Omni, la silhouette era considerata talmente moderna da poter evitare di possedere dei lacci e potersi permettere di sfoggiare colori vivaci e cult come il rosso e il giallo cedro. La Fury si prestava per un mercato di tendenza, divenendo super popolare nel mercato nipponico: ricordiamo una InstaPump omaggio alla città di Hong Kong nel 1997, e una dedicata Jackie Chan nel 1998.

Reebok Pump Fury 1994

Concludendo possiamo affermare come la fenomenologia del Pump abbia in qualche modo trovato la sua rampa di lancio proprio in quegli anni '90, e sia riuscita ad affermarsi definitivamente nel nuovo millennio con il modello Fury: la tecnologia è stata celebrata nel corso degli anni da retailers importanti nel mondo dello streetwear come atmos, Bodega, Sneakersnstuff, Colette, passando per marchi di alta moda come Chanel e Sandro, sino alle più recenti operazioni di Demna Gvasalia ( Vetements ) a partire dal 2017, riproponendo il modello Pump Fury ogni season con determinate caratteristiche estetiche aggressive e accattivanti, come sul modello Doodle.

Quello che c’è da chiedersi ora, è se vedremo mai un altro periodo di spiccata creatività, di guerra tra aziende e bizzarro estro nel convogliare la tecnologia ai nostri piedi. L’aggettivo “ugly” affiliato costantemente al lavoro di Reebok, va a sminuire il progresso e mettere in mostra tutta la negatività intorno ai modelli scaturita tra gli anni '80 e '90. Pump esprime comodità, nuovi orizzonti, estro di matrice “pseudo ingegneristica” e tanta tanta nostalgia; nostalgia di chi ha vissuto in quegli anni, facendo del modello Pump un must have della sua quotidianità, testimonianza di uno dei più incredibili risultati in ambito sneakers mai ottenuto prima.
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