SOUND

20 Dicembre 2020

Articolo di

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Luca Gissi

I 10 album italiani che hanno segnato il 2020

SOUND

20 Dicembre 2020

Articolo di

Luca Gissi

I 10 album italiani che hanno segnato il 2020

Il 2020 ha rappresentato un tassello importante per l'espansione del panorama musicale italiano, sempre più in grado di monopolizzare il mercato, conquistando certificazioni e arrivando a un pubblico di giorno in giorno più vasto. Nomi di prim'ordine, debuttanti e personaggi in costante crescita hanno animato una stagione di uscite, che dopo i primi mesi dell'anno appariva ben poco rassicurante, ma che è stata capace, col passare del tempo, di riprendere le redini del gioco. È stato l'anno dei mixtape, delle intense collaborazioni, dei live a distanza: tutte iniziative che sono riuscite nel bene o nel male a colmare il vuoto causato dalla pandemia.

Con questa piccola selezione abbiamo dunque deciso di ripercorrere i progetti discografici salienti usciti quest'anno in Italia, per l'impatto che hanno avuto sul pubblico e per la loro rilevanza generale a livello mediatico. Da clamorosi casi pubblicitari a nuove sorprese, ecco i dischi che, salvo vivere in un'altra dimensione, hanno accompagnato anche solo in piccola parte le giornate di tutti noi.

Dj Slait, Low Kidd, Tha Supreme & Young Miles - “Bloody Vinyl Vol. 3”



A 5 anni dal precedente capitolo, l'iconico marchio del “Bloody Vinyl Mixtape” torna a essere rispolverato, indossando abiti nuovi. La saga creata da Dj Slait è giunta al suo terzo capitolo, questa volta reclutando dietro le macchine tre colleghi d'eccezione: il prodigio dei record tha Supreme, il giovane amante degli esperimenti Young Miles, e l'ormai affermato Low Kidd. Otto mani complementari che dividendosi i ruoli hanno impresso i loro stili di pari passo a importanti novità musicali; dall'anima sperimentale, il progetto non ha assolutamente paura di prendersi dei rischi. In questo hanno aiutato i tanti ospiti, reclutati sia tra gli affiliati dell'universo Machete che tra le più nuove proposte della scena italiana, fino a nomi che vanno oltre i confini del genere. Il pubblico, incuriosito, ha accolto i mondi sviscerati nel disco creando un attendibile, ma non per questo meno meritato, successo discografico. Oltre al disco di platino, il loro successo è stato avvalorato dal riscontro che alcuni singoli in particolare hanno generato tra gli ascoltatori; “Altalene”, il lato più propriamente pop del disco con Mara Sattei e Coez, piuttosto che “Machete Satellite”, un concentrato di rabbia a cui solo l'unione di Salmo e Taxi B poteva dare vita. Due esempi agli antipodi, che dimostrano la vastità dei territori esplorati dal lavoro: una voce al grande pubblico di movimenti ben più nascosti.

Bloody Vinyl Vol. 3 Dj Slait, Low Kidd, Tha Supreme Young Miles cover

Emis Killa & Jake La Furia - “17”



Per varie ragioni “17 ”è stato definito da molti un disco controtendenza. “17” però è per prima cosa un simbolo, un simbolo che non vuole tanto cambiare le gerarchie, quanto ricordare come si sono formate. È il ritorno al rap di Jake La Furia, è la soddisfazione di un Emis Killa che collabora con uno dei suoi maestri, è la dimostrazione che i dogmi nel tempo si sono evoluti, ma che tutto può ancora convivere. È guerra, esposizione, provocazione: tutto ciò, riassunto appunto attraverso un simbolo. In questo non si perde la spontaneità con la quale è stato creato, il gusto quasi spassionato che rivive in immagini già viste; non si vuole certamente perdere in troppe sovrastrutture e in generale non ha troppe pretese. Parlando di “17” si può intravedere uno scambio generazionale non solo tra i due artisti, ma anche tra gli ascoltatori e tra le fasi storiche della scena milanese: è un disco profondamente riconoscente a ciò che rappresenta Milano e a come, anche grazie ai loro nomi, è collocata al primo posto sulla mappa del rap italiano da decenni. Le esperienze di vita e i racconti hanno spesso tra i punti riferimento la città stessa che assume un certo peso specifico. Il simbolismo ritorna anche nel 17, quasi a voler sfidare la sorte, a prendersene gioco: la sottile consapevolezza di chi nel gioco del rap come nella vita non è certamente più un ragazzino, di chi ne ha viste tante e ne ha ancora da raccontare.

17 Emis Killa Jake La Furia cover

Ernia - “Gemelli”



Era ormai da alcuni anni che una parte del pubblico si lamentava di quanto Ernia fosse sottovalutato rispetto ad altri nomi emersi dal suo stesso contesto. Questa sfaccettatura in realtà ha sempre rappresentato il punto di forza del rapper di Bonola, che ha ricercato uno stile equilibrato, quasi più classico, uno stile che però, come “Gemelli” ha ampiamente dimostrato, non era poi così impossibile da far arrivare a tutti. In questo disco trovano voce definitiva gli esperimenti più melodici di “68”, riuscendo a integrarsi perfettamente all'approccio lirico dell'artista, che se a tratti cambiato, risulta comunque essere il protagonista del progetto. Ernia aveva da tempo gli ingredienti per entrare con prepotenza in un mercato ancora più ampio, ma ha voluto comprenderne al meglio tutti i meccanismi, ha voluto capire fino in fondo i suoi gusti per confrontarli con quelli del pubblico: è solo con questo che arriva a raccogliere tutti gli elementi per il crocevia della sua carriera, attraverso un lavoro che lo inserisce in cerchie sempre più elitarie. In termini numerici non si può ignorare il clamoroso successo di “Superclassico”, che continua a sostare nelle posizioni più alte delle top a mesi e mesi dalla sua uscita, come non si può ignorare l'iconico omaggio di “Puro Sinaloa”, il grazie della nuova generazione all'immortale eredità dei Dogo. Con “Gemelli” si scrolla definitivamente di dosso gli ultimi interrogativi e riesce a mettere tutti i puntini sulle i.

Gemelli Ernia cover

Gemitaiz - “QVC9”



Nono capitolo di una delle serie di culto del rap italiano, capace di stregare i fan di Gemitaiz, dell'hip-hop, ma non solo, che puntualmente si trovano a parlare di tracce lontane da noi già molti anni. “QVC9” si è dovuto aggiornare con i tempi, e per questo è stato pubblicato tutto sulle piattaforme streaming. Il progetto va citato proprio perché negli ultimi anni è stato in grado di tracciare alla perfezione il paradigma di “mixtape”: un termine sempre più lasciato alla libera interpretazione, in grado di assumere continuamente nuove connotazioni. In un anno di instabilità per il mercato, in molti si sono rifugiati dietro a questa tipologia di lavoro, che però, come in questo caso, è formalmente equiparabile a un vero e proprio disco. Le basi inedite e la produzione generale curata nei dettagli si scontrano con una maggiore sperimentazione che si apre a nuovi ambienti. Il mondo nuovo inseguito in questo caso, molto importante nell'economia del tutto, viene rappresentato dalle mani da produttore dello stesso Gemitaiz, che per la prima volta dà voce in maniera massiccia anche a questo suo secondo lato artistico. Non mancano poi i nomi storici, certo, ma la prova più importante che viene fuori dal “QVC9” sono proprio le sue produzioni, ambito in cui sembra già destreggiarsi con uno spiccato senso dell'orientamento. Nei featuring sono invece molte le riproposte, con collaborazioni inedite riservate a pochi nomi, con la tracklist stessa che non ne è invasa o dipendente. Gemitaiz si è spostato dalla sua zona di comfort ma in altro ha voluto creare l'atmosfera di casa per i fan, molti dei quali sono rimasti piacevolmente sorpresi dal lavoro. Nell'anno dei mixtape, il titolo per eccellenza della nuova scuola non poteva assolutamente risultare assente.

QVC9 Gemitaiz cover

Guè Pequeno - “Mr. Fini”



Presentato fin da subito come un colossal, “Mr. Fini” è un tocco di classe che dimostra quanto Guè Pequeno abbia le idee chiare sulla strada da percorrere. Introdotto dall'artista stesso come l'erede spirituale di “Vero”, quello che fu un disco particolarmente riuscito, segnando tutt'oggi l'apice della sua carriera solista, Guè frammenta il suo punto di vista in tante differenti sezioni, che come tesserine vanno a comporre il mosaico musicale del progetto. È azzardato parlare di ritorno alle origini, in primis perché non è stato quello uno degli obiettivi inseguiti dal rapper milanese: l'unica intenzione, rivelata fin da subito senza troppi giri di parole, era infatti quella di creare qualcosa che, testuali parole, suonasse classico senza risultare datato. Per metà ci è senza dubbio riuscito, dando vita a un album assolutamente non datato, che risulta anzi attento ma non schiavo delle tendenze. Le novità musicali passano prima di tutto sotto il gusto musicale dello stesso Guè, capace di reintegrarsi in contesti molto diversi, contesti che rappresentano fino in fondo i sapori ricercati: richiami latini e reggae trovano anch'essi il loro spazio in mezzo al codice più rappresentativo e rappresentato: il rap. Nell'arco di decine di anni abbiamo compreso quanto la penna di Cosimo Fini possa adattarsi a diverse situazioni in maniera del tutto volubile, con la sua inventiva narrativa che viene sempre rispettata. Quest'ultima la ritroviamo in storytelling da sceneggiatura fino alle più calorose canzoni d'amore, dalla pura autocelebrazione ai tormenti interiori: i punti del disco più carichi emotivamente sono tra i più significativi della sua carriera, dai ricordi malinconici di “Ti Ricordi?”alla paranoia che uccide di “Stanza 106”. Anche nei momenti in cui cerca di arrivare a tutti, la cifra stilistica viene rispettata: è questo il caso anche della hit “Chico”, che non tradisce il linguaggio risultando una ventata d'aria fresca nel panorama italiano.

Mr. Fini Guè Pequeno cover
 

Lazza - “J”



Questo 2020 ha messo a dura prova le nostre capacità di adattamento, ma se anche per la scena nazionale c'è sempre stata una costante durante questo strano periodo, è stata la presenza di Lazza in una miriade di uscite: un tormentone che ha divertito non poco i fan, ma che sottolinea come anche quest'anno, il buon Zzala, abbia mantenuto alta l'asticella della sua produttività. È una situazione ancora più strana se pensiamo a quanto lo scorso sia stato un anno pieno di soddisfazioni, con “Re Mida” e riedizioni varie che hanno in primis avuto un ottimo riscontro ma che hanno soprattutto scolpito definitivamente il nome di Lazza nell'élite della scena. La summa è arrivata proprio con “J”, un progetto presentato come mixtape composto da svariati featuring interessanti, da emergenti in rapida ascesa passando per colleghi stabili fino ad arrivare oltremanica con una produzione, quella di “Moncler” con Guè Pequeno e Pyrex, curata da Axl Beats, produttore cardine della scena drill newyorkese, universalmente riconosciuto per i lavori con Pop Smoke e Fivio Foreign. Un disco che però è poco più che un regalo ai fan per l'estate, fan che hanno comunque ripagato il rapper facendogli conquistare diverse certificazioni, che si vanno ad aggiungere al bottino già sostanzioso dei featuring. Citando “J” si premia quindi più in generale l'anno del rapper milanese, sempre più intenzionato ad allargare il suo nome con nuova musica.

J Lazza cover

Nicola Siciliano - “Napoli 51”



Si può tranquillamente parlare di “P Secondigliano” come di uno degli ultimi anthem usciti nel rap italiano: non è semplicemente una hit di quelle che riempiono le playlist di Spotify, è rappresentanza prima e cambiamento dopo. Con quei pochi minuti del pezzo, Geolier e Nicola Siciliano hanno reinventato le gerarchie della scena napoletana, una realtà difficile da riscrivere, proprio perché in continuo fermento: eppure quei due ragazzini avevano quel qualcosa in più che li ha portati in alto. Si sono spese già tante ottime parole per Geolier, ma il 2020 è stato l'anno dell'esordio del più giovane dei due che a soli 18 anni ha detto la sua con “Napoli 51”, un disco fuori dagli schemi, in cui strani scenari sci-fi si fondono con il dialetto napoletano. Una fervida immaginazione che ha portato il giovane artista a fondere gli stilemi della nuova scuola nelle produzioni, curate anch'esse interamente dal ragazzo attraverso un'estetica particolare, con alcuni influssi musicali della sua città che gli conferiscono un senso di instabilità. Sbilanciandosi, rischiando, dice la sua in modo del tutto particolare. Il senso di estraniazione suggerito dal titolo contro testi talvolta sentimentali e che esulano dagli stilemi del genere, suggeriscono un'aria contaminata dalle vibe più diverse: in questo senso contribuiscono featuring di prim'ordine come Ketama126, Nitro e Vegas Jones, apparentemente lontani dal suo mondo ma perfettamente integrati nel lavoro.

Napoli 51 Nicola Siciliano cover

Sfera Ebbasta - “Famoso”



Il terremoto mediatico provocato dall'annuncio dell'uscita di “Famoso”, avvenuto solamente un paio di mesi fa, ha portato risultati da record, che confermano Sfera come assoluto top di reparto in termini numerici, rendendolo difficile anche da classificare insieme agli altri nomi italiani. L’artista si è infatti distanziato volutamente dalla nostra scena, imponendosi nuovi standard. L'obiettivo di Sfera in questo caso è stato chiaro fin da subito: se “Rockstar” era stato il disco di uno storico successo in patria, “Famoso” non voleva solo replicarsi. Stiamo parlando infatti di qualcosa che ha cercato fin da subito di estendere i propri confini arrivando a quelli esteri, spesso angusti e poco affini al clima della musica italiana, vista spesso con semplice indifferenza. Esponendosi al mondo con la bandiera italiana che lo precede, riusciamo a capire uno dei tanti punti della mappa delle sue intenzioni. Poco importa però al nostro pubblico che, ambizioni internazionali o meno, resta la prima e più importante base solida del successo spropositato di Sfera: lo rimarrà probabilmente prima e dopo “Famoso”. Queste ambizioni sono le stesse che dettano le scelte musicali del disco, scelte che si aprono alla più vasta gamma dei suoni di tendenza. Il colore della trap viene sostituito gradualmente da uno più pop, che però nel cambiamento acquisisce le sfumature più svariate: accenni dance, rock, EDM rientrano in questo contenitore; quando ritorna sui suoi passi capita che però ne faccia tanti altri avanti. In questo i nomi di Future, Offset e Lil Mosey sono illuminanti, aggiungendosi questi ad altri capisaldi dell'industria musicale mondiale come Steve Aoki, JBalvin a Diplo. In un 2020 in cui il successo è stato spesso bloccato da cause maggiori, l'ennesimo trionfo del ragazzo di Cinisello Balsamo è un qualcosa di familiare di cui avevamo bisogno, andando al di là dei gusti personali.

Famoso Sfera Ebbasta cover

Speranza - “L'Ultimo A Morire”



L'indomabile musica di Speranza ci ha fatto scoprire un ragazzo dai valori semplici, che si accontenta delle piccole cose e che appare costantemente riconoscente. Una boccata d'aria fresca che respira negli ariosi scambi culturali che Ugo continua a vivere giorno dopo giorno, per saziare una vorace curiosità culturale: vuole conoscere per raccontare, vuole vivere per omaggiare e per portare nuove voci. Non solo il binomio Francia/Italia che come ormai ben sappiamo divide da sempre ciò che per lui è casa e ciò che per lui è famiglia, superando confini, ma mantenendo più in generale una lucidità e un'apertura al prossimo mostruosa. Strani processi chimici lo hanno portato anche a esprimersi in tono così crudo, portando sì l'attenzione sulla strada, ma passando dai volti di chi quella strada vorrebbe viverla con più leggerezza. Il collante che riesce a tenere insieme tutti questi elementi ha probabilmente a che vedere con la tenacia, una tenacia che fa di lui “l'ultimo a morire” con un insaziabile fame di vendetta, non solo personale ma collettiva. In questo Speranza è portavoce della grida silenziose di tanti che sono come lui gli ultimi a morire. Con Caserta c'è un rapporto simbiotico, che però si apre ai più svariati influssi, tante suggestioni che creano le dure immagini divorate dal tono di voce, dalla cattiveria agonistica. Speranza si è trasformato così da incognito fenomeno di strada fatto di episodi isolati in un artista fatto di tanta sensibilità incanalata, musicalmente, con tutta la rabbia del caso. Una storia, prima di un disco, davvero squisita.

L ultimo a morire Speranza cover

Tedua - “Vita Vera Mixtape”

Tra le figure più prolifiche dell'anno rientra anche il nome di Tedua, che con un doppio mixtape decisamente sostanzioso, si avvicina pian piano al suo prossimo album, presentato con premesse importanti. Nel frattempo i fan però non sono rimasti delusi: la forza di “Vita Vera” è la sua casualità, i tanti incroci improbabili che trovano qui forma e spazio. La sua capacità lirica inizia a concentrarsi sempre più su nuovi mondi, avvicinandosi a una dimensione emotiva ma fortemente legata alle immagini, alle singole situazioni. E se abbiamo sempre parlato con lui di “flusso di coscienza” qui dovremmo parlare di torrenti di coscienza: in questo si esprime al massimo il concetto di mixtape che non è lasciato certamente al caso. Proseguendo in questo senso, Tedua va oltre gli schemi della canzone aprendosi a progetti nuovi, esperimenti messi da parte nel tempo, incorporando diversi piani dal punto di vista linguistico, diversi registri, con un'evidente ricerca, frutto di nuove esperienze, personali e culturali. La natura eclettica, legata alla forma in maniera del tutto particolare, gli ha permesso anche qui di procedere nel suo percorso, ospitando come detto tanti artisti. Si può affermare con certezza che Tedua rappresenti sempre di più una figura a sé, che però, come si nota anche in questo caso, s'impegna per far arrivare idee di un certo tipo al grande pubblico. I numeri in questo parlano chiaro: disco di platino e top di classifica ancora oggi, nonostante tracce non semplici da far digerire a tutti. Anche citando quelle più ascoltate, la stessa “Polvere” con Capo Plaza è profondamente atipica, come “Party HH” con Lazza legata alla cultura e la stupenda “Lo Sai” in cui Sick Luke crea l'atmosfera perfetta. Numeri compatti che servono a un lavoro che fa un po' il punto della situazione, in un 2020 che per la scena genovese è andato oltre le più rosee aspettative: Vita Vera e Tedua in questa selezione simboleggiano in generale il movimento della città, con un anno che ha reso Drilliguria/Wildbandana e Genova più in generale ancora una volta uno stato a parte del panorama italiano. Simbolo di questa rinnovata coesione è la stessa “Manhattan”, traccia che racchiude un po' tutti i nomi dei due collettivi, oltre che altre varie collaborazioni del progetto. Fa il punto della situazione anche perché, come detto, è solo l'antipasto, l'allenamento, per un appuntamento ancora più importante che Tedua sembra intenzionato a firmare proprio il prossimo anno.

Vita Vera Tedua cover
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