Sapete quali sono i veri hunger games della moda? Semplice: le sample sales. Che voi abbiate mai partecipato o no a questa esperienza pittoresca, vi sarà capitato almeno una volta di vedere un video sui social raffigurante gente accalcata davanti alle porte di un negozio per una svendita.

Ora, le scene che ne seguono sembrano essere dupes di quella del film “I love shopping”, precisamente quella in cui una shopahaolic Rebecca Bloomwood sgomita, scalcia, si fa strada con tutte le sue forze in mezzo a un’orda di donne pur di accaparrarsi più di quello che effettivamente può permettersi, solo perché scontato al 50%.

Insomma se si è in un gruppo di appassionati di moda, bisogna fare molta attenzione a pronunciare la parola sample sales; perché tra il gioco e l’ossessione in mezzo c’è la possibilità di mettere le mani su un capo che, tradizionalmente, lo si vedrebbe solo sulle pagine di un giornale o immacolato e protetto da una vetrina.

Frenesia, batticuore e desiderio sono quelle sensazioni che spingono a mettersi in coda alle 4 del mattino per riuscire (forse) ad entrare 12 ore dopo all’evento, che ormai ospita solo scaffali vuoti. O che convincono ad attraversare mezza città con fare circospetto perché nessuno deve capire che si è in possesso della mail esclusiva per quella (s)vendita altrettanto esclusiva dove comunque il 70% in meno sarà sempre un prezzo decisamente alto. Ma se l’impresa è sempre così ardua, allora perché siamo disposti lo stesso a provarci? E voi cosa sareste disposti a fare per una borsa firmata?

La doppia faccia delle sample sales: tra il mercato e lo spaccio

Specifichiamo subito che tra le sample sales “originali” e quelle di oggi c’è differenza. In principio infatti queste vendite-evento riguardavano per lo più la merce di campionario. Ovvero, quei capi e accessori non vendili full-price perché destinati a essere utilizzati all’interno di una casa di moda e occasionalmente dati a terzi per campagne pubblicitarie, editoriali ecc… Va da sé che anche gli eletti che vi accedevano appartenevano al settore e, anzi, ne erano tendenzialmente addetti diretti.

Ora invece tale pratica si è frammentata da più punti di vista, trasformandosi in un appuntamento che da una parte strizza l’occhio alla pop culture schiava dei social, dall’altra ampia il suo pubblico sotto il claim di una moda più “democratica” ma non senza le dovute eccezioni.

Al momento l’hashtag #samplesale vanta su TikTok più di 18 mila post, tutti tra l’altro molto simili per format. Ci sono le file che vanno da un isolato all’altro, c’è chi si riprende mentre aspetta, chi dispensa consigli di styling, chi ci manda il fidanzato con una lista e chi filma l’isteria generale che si trova davanti una volta entrati. Il buon vecchio cameratismo che spinge ad approvare il colpo d’occhio della tua vicina di camerino lascia il posto al “chi riempie più borse di vestiti” (per poi rivenderli magari ad un prezzo più alto) e alla rivalità tipica di un centometrista o di un pugile.

Non si parla per senso comune, ma perché online si può trovare il tutto documentato. Banalmente, basta digitare “sample sales Versace” per rendersi conto di quanto il fenomeno sia un sintomo non tanto dell’amore per la moda, quanto più del soddisfacimento temporaneo del desiderio di possedere un qualcosa di griffato. Anche se poi non è proprio della taglia giusta.

Più contenuto e decisamente più anonimo è invece il caso delle svendite private a cui, come abbiamo anticipato, si accede solamente su invito. Qui chiaramente il sentimento che porta a cambiare più metro per arrivare a destinazione è sia la percezione di rientrare in una crew esclusiva amica della maison, sia la possibilità di fare un affare anche se non è detto che ci si possa permettere tutto. Leggenda narra di una rarissima sample sales di Hermès a tempo dove la merce sarebbe stata etichettata a -70%. Tuttavia provate a calcolare lo sconto su una capo. A voi le conclusioni.

Sample sales: ci risiamo con il marketing

I marchi non organizzano sample sales per beneficenza, ma perché conviene. Se prima era principalmente un modo per sbarazzarsi del campionario, oggi il concetto è ben diverso e riguarda la merce invenduta.

La sovrapproduzione e le continue collezioni fin troppo stagionali (e qui rientrano anche quei capi di abbigliamento che circoscrivono un determinato trend non durevole, ndr) o a prezzi inaccessibili rimaste in negozio, da indice negativo passano ad essere la buona base per costruirci sopra uno storytelling ingaggiante e (di nuovo) remunerativo.

Il tutto viene reso ancor più appetibile se in gioco entrano anche i content crerator, vera cassa di risonanza social e invitati a condividere, magari in anteprima, tutto quello che sarà presente alla svendita-evento. Il guadagno è quindi duplice perché gli abiti saranno con ogni probabilità venduti, andando così a riempire le casse del brand, e allo stesso tempo la casa amplierà la sua reputation e popolarità.

Insomma, se le sample sales facciano bene o male all’intero sistema moda lo lasciamo decidere a voi. Ma che siano attraenti pare un fatto assodato. Resta solo da chiedersi se nel vedere pile e pile di scatoloni, grucce stracolme e capi dapprima osannati e poi svalutati non ci sia qualcosa di “sbagliato”. Ma d’altra parte errare è umano, perseverare però è diabolico.