L’importanza del CEO per un brand di moda
STYLE
21 Febbraio 2025
Articolo di
Michela Frau
L’importanza del CEO per un brand di moda
Che la moda non sia solo pura creatività è un dato di fatto. Tessuti, colori e raffinate lavorazioni si trasformano in prodotti commerciali grazie a una specifica visione imprenditoriale. È dalla sinergia tra queste due componenti che nasce la magia. Il successo di una maison è quindi direttamente proporzionale all’equilibrio tra le due parti, e la storia della moda è piena di esempi (e coppie) di successo.
All’inizio con Giorgio Armani c’era Sergio Galeotti. Successivamente, ci sono stati Gianni Versace e suo fratello Santo, e oggi ci sono ancora Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, i quali sebbene dal 2023 non ricoprono più il ruolo di amministratori delagati nell’azienda, ora affidato a Andrea Guerra, ben rappresentano l’incastro perfetto tra audacia artistica e piglio imprenditoriale.
Risale invece agli anni Novanta l’inizio della fortunata collaborazione tra Tom Ford e Domenico De Sole, il cui connubio tra il talento creativo del primo e la visione imprenditoriale del secondo portò alla rinascita di Gucci, allora sull’orlo del fallimento. Un sodalizio che proseguì anche dopo il loro addio alla griffe fiorentina nel 2004, quando l’anno successivo fondarono la società Tom Ford International, venduta nel 2022 a Estée Lauder Companies per 2,8 miliardi di dollari.
Ma Gucci fu anche il palcoscenico di quello che forse è il più celebre esempio di binomio di successo degli ultimi tempi: Marco Bizzarri e Alessandro Michele. Sotto la guida del top manager, che nel 2015 arruolò lo stilista romano, il brand di Kering passò dai 3,4 miliardi di euro di fatturato del 2014 (anno di arrivo di Bizzarri) a oltre 10 miliardi nel 2022. La creatività è quindi sì imprescindibile, ma lo è anche la giusta chiave per raccontarla al mondo. Un compito arduo, affidato all’amministratore delegato, noto anche come CEO (Chief Executive Officer).
Quali sono i compiti di un CEO?
Posto all’apice della gerarchia aziendale, il CEO viene scelto e approvato dal Consiglio di Amministrazione che gli conferisce poteri esecutivi, rendendolo di fatto il principale responsabile della gestione e della guida dell’azienda. I suoi compiti, molteplici e complessi, spaziano dalla definizione della strategia e della cultura aziendale alla distribuzione delle risorse finanziarie, fino alla costruzione del team esecutivo (nel caso di un’azienda di moda, il CEO gioca un ruolo chiave anche nella nomina del direttore creativo).
Deve quindi possedere capacità analitiche e operative, essere un attento osservatore in grado di cogliere i cambiamenti nel mondo e saper rischiare al momento giusto. A lui spetta il compito di allineare tutti i reparti dell’azienda verso un obiettivo comune e, in poche parole, trasformare la creatività in business. Grandi responsabilità accompagnate da stipendi altrettanto elevati.
Secondo Equilar, società che monitora i compensi dei dirigenti delle 500 principali aziende statunitensi quotate in Borsa, la retribuzione dei CEO è aumentata del 12,6% nel 2023, raggiungendo una media di 16,3 milioni di dollari. Osservando esempi concreti, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli avrebbero ricevuto nel 2023 un compenso di 19,2 milioni a testa, mentre Andrea Guerra avrebbe guadagnato 5,6 milioni nello stesso anno.
Tornando indietro nel tempo, diverse fonti ritengono che nel 2016, quando era ancora amministratore delegato di Gucci, Marco Bizzarri avesse ricevuto un compenso di 8 milioni di euro all’anno. Cifre importanti, a cui si aggiungono diversi benefit e, in caso di conclusione del contratto, una quota di buonuscita. È notizia di qualche giorno fa dei 4,5 milioni di euro che Ferragamo avrebbe corrisposto a Marco Gobbetti, arruolato nel 2022 con l’arduo compito di rilanciare la maison fiorentina
È naturale, quindi, che nei momenti di difficoltà, per invertire una traiettoria negativa, si arrivi spesso al cambio dell’amministratore delegato. È ciò che è successo lo scorso luglio con la nomina di Joshua Schulman, ingaggiato per risollevare le sorti di Burberry, o qualche mese dopo con Elliott Hill, richiamato da Nike dopo il suo pensionamento per tentare di riportare in crescita il marchio dello Swoosh. Il gioco delle poltrone, che a un primo sguardo sembrerebbe coinvolgere esclusivamente i direttori creativi, include, seppur in misura minore, anche i manager.
Le ultime novità arrivano da Gucci, dove dal primo gennaio il ruolo è stato assunto da Stefano Cantino, e da Miu Miu, dove è arrivata Silvia Onofri, che inizierà ufficialmente il 26 febbraio andando a rimpiazzare Benedetta Petruzzo (passata a LVMH). Un cambio, quest’ultimo, che non ha nulla a che vedere con eventuali difficoltà del brand, visto che la sorella ribelle di Prada continua a macinare successi.
Ma, effettivamente, su cosa può influire una nomina azzeccata? Sicuramente sulla copertura mediatica, sull’attrazione di nuovi talenti in azienda e sulle scelte d’acquisto dei consumatori, ma soprattutto sulle decisioni degli investitori, che possono scegliere se scommettere o meno su una determinata azienda anche in base alla fiducia che ripongono in chi ne ha assunto le redini.
Secondo uno studio di Barabino & Partners, l’80% degli stakeholder (coloro che hanno un interesse diretto o indiretto nelle attività e nei risultati dell’azienda) è influenzato dalla reputazione online del CEO. Un dato che dimostra chiaramente la forte correlazione tra l’immagine del manager e la brand reputation. Quindi sì, la scelta del CEO giusto non è solo una formalità, ma un tassello fondamentale per il successo di un brand.
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