Quale sarà il destino dei prezzi nella moda?
STYLE
25 Novembre 2024
Articolo di
Michela FrauQuale sarà il destino dei prezzi nella moda?
Che i prezzi della moda, e in particolare quelli del lusso, siano cresciuti a dismisura è ormai chiaro persino a chi ha solo sognato di entrare in boutique e acquistare una Chanel 2.55. Secondo HSBC, i prezzi, ormai inarrestabili, sono aumentati in media del 52% dal 2019, portando con sé una serie di fenomeni che hanno inevitabilmente plasmato il settore e messo in luce crepe che non possono più essere ignorate.
Dalla corsa al second-hand, interpretato come una scelta etica ma spesso legato alla necessità di ridurre i costi, all’ascesa del mercato della contraffazione e al moltiplicarsi dei sample sale. A questi si aggiungono il rallentamento della domanda, inevitabilmente correlato al Pricing issue, l’esclusione dal mercato del lusso della Gen Z e di quei clienti definiti aspirazionali, i quali erano soliti acquistare occasionalmente prodotti di alta gamma come simbolo di status o come via d’accesso a esperienze dalle quali, si spera temporaneamente, sono ora esclusi.
E se la Speedy 30 di Louis Vuitton, in cinque anni, ha raddoppiato il suo costo arrivando a toccare i 1.600 euro, mentre la Chanel 2.55 e la Galleria firmata Prada hanno visto il cartellino crescere del 91% e 111% rispetto al pre-pandemia, le stesse maison non possono negare di aver ricorso a un innalzamento dei prezzi e il dibattito inizia a prendere piede anche tra gli addetti al settore.
Che si tratti di una strategia per far fronte all’inflazione e all’aumento dei costi delle materie prime e della manodopera, o di un piano per proteggere i profitti in un momento di normalizzazione della domanda dopo il boom post-pandemia, il dubbio resta lo stesso: che ne sarà dei prezzi della moda?
Cresceranno? Si stabilizzeranno? O finalmente inizieranno a diminuire?
Tra tutte le ipotesi, l’ultima pare la meno plausibile, soprattutto per quei brand che ancora non hanno registrato un calo nelle vendite. Sebbene secondo quanto riportato da BoF, Versace e Burberry sarebbero pronti a rivedere i loro cartellini a seguito di una fase di rallentamento, maison come Hermès, per cui la scarcity e il pricing costituiscono i pilastri di un modello che non dà segni di cedimento, non sembrerebbero intenzionate a ricalibrare i prezzi, anche perché i risultati continuano a premiare il business model adottato. Lo stesso Axel Dumas, executive chairman della griffe francese, ha ribadito durante una conference call all’inizio dell’anno che i prezzi sarebbero continuati ad aumentare tra l’8% e il 9% nel corso del 2024.
Stessa linea condivisa da Chanel, come evidenziato dalla dichiarazione rilasciata dalla CEO Leena Nair a Bloomberg lo scorso maggio, in cui sottolinea come il prezzo sia direttamente proporzionale alla qualità dei materiali e alla sopraffina lavorazione. «Utilizziamo materie prime squisite e la nostra produzione è molto rigorosa, laboriosa, fatta a mano, quindi aumentiamo i nostri prezzi in base all’inflazione che osserviamo», ha chiarito la manager.
Diverse, e al contempo simili, le eloquenti dichiarazioni rilasciate recentemente da Andrea Guerra. «Negli ultimi anni è stato fatto un errore gigante sui prezzi. Si è sbagliato ad aumentarli tanto solo perché era facile. E il fatto di non essere riusciti a far innamorare dei nostri prodotti al punto da far percepire ai consumatori che il loro valore non è rispecchiato nel prezzo è il fallimento più totale del nostro lavoro». Sebbene le parole del CEO di Prada possano sembrare un’ammissione di colpevolezza, non lasciano tuttavia spazio a un futuro taglio dei prezzi.
«Questo errore, però, non si risolverà abbassando i prezzi o portando sul mercato prodotti più economici, ma offrendo creazioni di qualità, raccontando una storia e determinati valori ed essendo credibili», chiarisce il super manager, che mette l’accento sull’importanza dello storytelling, elemento essenziale al pari di heritage, qualità e sistema valoriale, nel decretare il successo di un marchio. E, in fatto di successo, Prada – che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con ricavi in crescita del 18% e una performance eccezionale di Miu Miu – può sicuramente dire la sua.
A supportare la tesi di Andrea Guerra è anche il report State of Fashion 2024 di McKinsey & Company e BoF Insights. Secondo lo studio, convincere i clienti del valore della proposta attraverso una comunicazione efficace resta un elemento centrale, da affiancare alla creazione di campagne che mettano in evidenza l’artigianalità, la qualità e l’innovazione alla base della realizzazione dei prodotti. Accanto allo storytelling, che prosegue all’interno degli store, sempre più immersivi e suggestivi, sarà fondamentale la capacità di attirare non solo i very important clients, determinanti per il fatturato attuale, ma anche gli acquirenti entry-level, potenziali clienti a prezzo pieno in futuro.
Chi aveva anche solo immaginato di comprare una Chanel, dovrà attendere ancora un po’.
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