“Multisala” come Franco126 non ha età
SOUND
25 Aprile 2021
Articolo di
Luca Gissi“Multisala” come Franco126 non ha età
Rovistano nel buio i fari stanchi di un taxi che in cerca di clienti si fa il giro della zona,c'è una ragazza sola, avrà vent'anni o giù di lì, le sfreccia accanto un'auto di ubriachi che le suonaSe parlassimo di musica in termini cinematografici individueremmo presto punti comuni ai due mondi, come per esempio la varietà dei generi, la penna dei registi, le semplici comparse sullo sfondo: Franco126 ci ha abituati a cambi di stile che queste volta passano per le pellicole dei suoi film mentali, dalle evoluzioni dettate dalla sua lucida poesia. Il cinema di Franco è un multisala che offre ai suoi spettatori la possibilità di assistere a svariate storie, svariati generi. Pensate che tra gli stessi spettatori talvolta c'è il suo stesso autore.La testa del ragazzo di Trastevere sembra riempirsi delle più disparate esperienze che vengono presto ridotte all'osso. Come in tutta la sua musica, dentro ci troviamo infatti tutto ciò che lo ha formato: Roma e tutto ciò che ne deriva. Lovegang, San Callisto, Trastevere, Truceklan, Peroni e sanpietrini. Tutto sembra nascondersi perfettamente dietro a una pulizia formale per cui Franco cerca di viaggiare su altri binari, ma che richiama in momenti non sospetti: dietro il verso di una strada buia, dietro scorci di città e dietro lo stesso rapporto con gli altri troviamo sempre lui e la sua vita di tutti i giorni. Il viaggio quindi non si sposta nello spazio quanto nel tempo.Nella spasmodica ricerca del passato degli ultimi anni, “Multisala” non offre solo un abbozzo di sonorità di altri tempi, ma ricostruisce con minuzia le fondamenta di quella musica. Ai tempi infatti Franco parlava di “Stanza Singola” come di un album dal gusto retrò, senza riferimenti diretti al presente ma che alla fine dei conti non inseguiva una determinata epoca: semplici richiami al cantautorato italiano in “Multisala” diventano invece pesanti influenze che fondano le radici del disco. Lo abbiamo sentito spesso citare i nomi antologici del panorama italiano, da Lucio Dalla a De Gregori fino alla figura chiave della sua carriera, il leggendario Franco Califano. Sono questi gli artisti da cui per l'occasione non si limita a prendere ispirazione: ne assapora le melodie, ne analizza i testi, ne riprende la storicità. Non l'obiettivo ma lo stesso punto di partenza del disco è creare musica senza coordinate storiche che cerchi ad ogni modo il suo perchè guardando nel passato più che nel futuro. Questo è ribadito anche dai testi che testimoniano una sterzata ancora più decisiva.
Che senso ha dire la verità se ti fa stare peggio?Mentire se alla fine poi non hai coraggio a farlo fino in fondo?Che senso ha continuare a difendere le cause perse?Far finta che le cose siano come sempre quando è cambiato tutto?La differenza sostanziale rispetto al suo passato finisce per esserci proprio nella stesura con un'ulteriore evoluzione della scrittura a immagini, il suo marchio di fabbrica. Dal folkloristico mosaico urbano di “Polaroid” passando al più soggettivo percorso interiore di “Stanza Singola” si arriva all'astratto ed esterno occhio di “Multisala”. Franco non è più l'unico protagonista dell'intreccio che vira da momenti di pura narrazione come “Simone” ad altri di ancora più estesa retorica cantautoriale. Ora proiettare i suoi concetti diventa non solo più complesso ma richiede anche una predisposizione diversa all'ascolto: per come si sviluppa non si può certamente dire che sia un disco senza pretese. Queste ambizioni sono il pretesto per un'attenta analisi che spetta all'ascoltatore che può comunque ripiegare su un ascolto distratto, seppur con una leggera difficoltà in più rispetto ad altre occasioni.Questo effetto di cambiamento non si tramuta anche nella musica per un semplice motivo: per completare i piani cantautoriali di Franco non c'era bisogno di un grosso sconvolgimento del suono e in buona parte Ceri porta avanti sonorità sovrapponibili a “Stanza Singola”. Ci sono però alcuni excursus molto particolari da sottolineare. Il primo e il più clamoroso la sognante “Vestito A Fiori” che con un lancinante ritmo bossanova è tra i momenti più sperimentali e raffinati del disco. Il gusto integrale pop italiano anni '70 anima il suono aperto di “Maledetto Tempo” mentre “Ladri di Sogni” si caratterizza per la presenza di synth anni '80. Non mancano zone di comfort come “Miopia” o “Lieto Fine” in cui la sua voce scivola con assoluta naturalezza.Nel cinema di Franco126 si è sempre pronti al cambiamento, che sia o no una novità: spesso è una novità anche solo nei confronti della sua carriera. Proprio perchè questo lavoro si fa portavoce del suo spirito di continua evoluzione, si potrebbe parlare di questo come un disco di passaggio; i cambi ora devono essere ben masticati dal pubblico per poi essere sintetizzati ancora meglio dallo stesso autore. Un secondo disco che si prende i suoi rischi, in cui Franco si divide tra il mettersi continuamente in discussione e il seguire semplicemente l'istinto del suo viaggio musicale. Di mezzo c'è il talento lirico assoluto, la partecipazione emotiva e la voce più calda dell'intero panorama: anche dopo “Multisala” Franco126 si conferma un crocevia della moderna musica italiana, ormai l'inamovibile portavoce di una poetica semplicità di altri tempi.
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