STYLE

27 Febbraio 2024

Articolo di

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Camilla Bordoni

Quando la moda non basta: lo storytelling delle sfilate ora passa da party e backstage

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27 Febbraio 2024

Articolo di

Camilla Bordoni
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Marni

Quando la moda non basta: lo storytelling delle sfilate ora passa da party e backstage

Ci si può credere o no, ma c’è un luogo ancor più blindato ed esclusivo del front row delle sfilate e questo è il backstage. Se vi state chiedendo se sia sempre stato così la risposta è sì. Prima però, quando i défilé erano camminate silenziose intervallate dal passo delle modelle, il solo assistere a uno show era già considerato un privilegio mentre il dietro le quinte era per pochi, pochissimi, intimi ed esperti diretti del settore.

Certo è che dei social ancora non se ne aveva idea (quindi occhio non vede, cuore non duole). Oggi invece, con l’ascesa di queste piattaforme da tutti accessibili, la moda ha dovuto cambiare il suo approccio strategico, dando vita a uno storytelling più comunicativo e narrativo.

Perché oltre ai fatturati, il consumatore deve essere tassativamente intrattenuto. È una regola implicita che tutti i marchi conoscono e che tutti, volente o nolente, accettano. La moda, è vero, sforna tendenze ma per sopravvivere è anche soggetta a seguirle diventando a sua volta un seguace di coloro che con una parola, un video o un reel possono fare la differenza tra milioni di views e una manciata di like su Instagram.

L’esclusivo diventa effortless con le interviste di @thepeoplegallery_ nel backstage

È innegabile che l’appeal di un brand passi anche dall’immagine che veicola attraverso i social. La mission non è prettamente quella di vendere a tutti i follower i propri prodotti, ma farli almeno riconoscere all’interno del proprio universo valoriale grazie a un buono storytelling. Ma quando l’heritage della maison sul digitale non è abbastanza, cosa fare per creare engagement?

Il performance marketing vuole hype e i marchi questo danno, puntando più su un’esposizione mediatica che diventi virale piuttosto che sulla promozione dell’ultima collezione. Non si tratta semplicemente di invitare alle sfilate volti noti alla Gen Z, ma di parlare il loro linguaggio con un tone of voice fresco, friendly, meglio se comune.

Per comprendere meglio, emblematico è il caso di @thepeoplegallery_ (aka Maurice Kamara) che con i suoi video-intervista, dapprima a persone comuni poi a personalità dello star system, è diventato talmente famoso da essere invitato e ingaggiato dalle stesse etichette di moda.

Il motivo? Ovviamente creare un circuito di visibilità continuo fondato su un benefit “sociale” da entrambe le parti in gioco. I brand guadagnano in popolarità veicolando un format di storytelling più o meno legato al loro core message ma che di certo sarà diffuso a livello capillare e resisterà per qualche tempo ai feed delle piattaforme. Kamara dal canto suo fa tombola, intercettando le celebs in grado di fargli aumentare esponenzialmente i follower su Instagram e TikTok.

Il modus operandi è sempre lo stesso, con domande semplici e risposte altrettanto semplici. Così sul profilo @thepeoplegallery_ si può sentire (ma mai vedere) Kamara chiedere a Kanye West nel backstage di Marni «Ehi come va, come ti chiami e da dove vieni?», domandare a Cara Delevigne «Ci dici cosa indossi?», ad A$AP Rocky da Bottega Veneta «Qualche consiglio di styling?», ad Emma Chamberlain da Gucci «Quale è il tuo cibo preferito? Di che segno sei?». Il tutto ovviamente viene condito da commenti tipici dell’intercalare come «Damm!» «woo» o «ok, love the fit».

L’obiettivo è chiaro ed è quello di creare uno scambio di battute molto più colloquiale e vicino alla quotidianità, un aspetto d’altra parte voluto dalle fashion house che grazie a profili come quello di Kamara rendono accessibili dei momenti esclusivi, creando un legame con quel target che tradizionalmente non arriverebbe nemmeno ai bodyguard delle star. In fin dei conti un telefono alla mano con contenuti fruibili e immediati è molto più appetibile e comodo di un appostamento sotto la pioggia, in mezzo alla calca e su una strada trafficata di Milano durante la fashion week.

In nome della viralità, anche il privato si trasforma in storytelling

Al di là di format speciali creati a tavolino con diversi creators, una strategia di comunicazione che giova allo storytelling di una casa di moda è ovviamente quella di fare leva su celeb circondate dall’allure glamour e leggermente naif. In generale, già da parecchie stagioni il fashion system ha capito l’enorme forza e il valore aggiunto che possono portare a un evento o a uno show le giuste personalità provenienti da varie settori.

Tuttavia come ogni tendenza che si rispetti, anche questa è soggetta al cambiamento secondo il livello di attenzione del potenziale target. Invitare ospiti famosi e fotografarli in posa quindi non basta più per generare click e battere l’algoritmo di Instagram, ma per provare a guadagnarsi il “final boss defeated” e salire di livello è necessario spingersi oltre. Ovvero riprendere attimi in cui compaiono volti noti ma in situazioni spontanee, sancendo così momenti iconici in grado di diventare virali.

È un terreno pericoloso dove il confine tra pubblico, privato e privacy può essere tremendamente labile. Tuttavia se ben studiato potrebbe per esempio sancire il successo mediatico di una sfilata. Anne Hathaway che si scatena al party di Versace vi dice qualcosa? Annalisa e Mahmood che ballano sulle note di Sinceramente alla festa di Dolce&Gabbana? E ancora A$AP Rocky che abbraccia affettuosamente Raf Simons?

In quanti hanno ben in mente tutti i look delle sfilate sopracitate non è dato saperlo, quello che è certo è che questi video campeggiano ancora sui nostri feed. Con tag ed hashtag, brandizzati of course.

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