Esiste ancora il dress code?
STYLE
31 Ottobre 2024
Articolo di
Camilla BordoniEsiste ancora il dress code?
Rick Owens è stato respinto all’ingresso della Città Proibita ed è stata tutta colpa del dress code! L’episodio che ha coinvolto lo stilista insieme Michèle Lamy e i co-fondatori di Fecal Matter, Hannah Rose Dalton e Steven Raj Bhaskaran, ha fatto il giro del web scatenando un vero e proprio dibattito circa l’abbigliamento giudicato “adatto” per entrare nel sito storico cinese. Ora, in questo caso specifico è chiaro che il dissing abbia avuto origine da ragioni puramente culturali, dal momento che i looks dei quattro sono stati percepiti come irrispettosi circa la storia del luogo.
Tuttavia questo evento ha fornito l’episodio-capro espiatorio perfetto per chiarire che, salvo casi specifici, ancora oggi ci siano imposizioni sociali che incidono su come le persone scelgono di vestirsi, nonostante l’epoca moderna si professi devota alla “libera espressione di sé”.
Negli ultimi anni, il concetto di dress code ha iniziato a prendere una… piega diversa. I GRWM (get ready with me, ndr), i trend, l’audace motto dell’inclusivity ha fatto sorgere nel fashion system il dubbio che sia anacronistico parlare di “abbigliamento appropriato”. Eppure in alcuni locali la selezione all’ingresso c’è sempre, i falsi miti ipocriti resistono dietro ad occhi alzati al cielo e tacite regole non scritte. Però: «Tutti possiamo indossare ciò che vogliamo, tutti dobbiamo sentirci noi stessi». Quindi ha senso che qualcuno stabilisca cosa sia giusto o sbagliato indossare? Ma soprattutto, il dress code in questo paradossale cortocircuito esiste o non esiste?
L’abito “non fa il monaco”… ma tu non entri
Il caso di Rick Owens nella Città Proibita è un esempio, per certi versi anche divertente, di come in certi contesti il gusto estetico si possa scontrare con la norma di decoro. In questo particolare caso sarebbe stato forse consigliabile trovare un equilibrio tra il dress code richiesto e il proprio senso della moda? Probabilmente sì, ma non sta a noi giudicarlo.
Da che si ha memoria il “vestire in modo adeguato” è visto come un segno di adesione a un contesto. Che si tratti di una riunione aziendale o di una cerimonia, infatti, l’abbigliamento ha spesso rappresentato il vostro biglietto da visita anche se poi vi sarete sicuramente sentiti dire che “l’abito non fa il monaco”. Ed è vero umanamente parlando, tanto che oggi la Gen Z su TikTok demolisce il rigido concetto di dress code proponendo looks che i Millenials a inizio carriera non si sarebbero azzardati a sfoggiare seduti alla scrivania del lavoro.
Eppure anche se sui social siamo bombardati da reels con messaggi positivi e look sempre e comunque al top nonostante il contesto, possiamo affermare che il dress code non ha più senso di esistere? Beh no, soprattutto quando scopri che pure i dipendenti di Vogue non vengono ammessi in certi ristoranti perché il loro outfit non è considerato “giusto”. Quindi sì, il dress code resiste e ci insegna che a volte è quello che non ti fa passare la selezione all’ingresso…
Dress code, falsi miti e identificazione
Se ci si sofferma a pensare al dress code irrimediabilmente ci si può scontrare sia con una serie di falsi miti, sia con il problema dell’identificazione. Per esempio, il movimento body positive, nato con l’intenzione di celebrare ogni tipo di fisicità ha finito, seppur con le dovute eccezioni, con l’essere spesso sfruttato dalla moda, che lo ha reso talvolta un’operazione di marketing più che una vera missione sociale. Il “dress code“ per diventare delle modelle di Victoria’s Secret lo conosciamo bene tutti d’altronde.
E poi come la mettiamo con la questione dell’identità? Se in un determinato luogo viene richiesto un certo tipo di abbigliamento per un uomo e una donna, ma questi non si riconoscono nell’abito a loro assegnato? Che valore assume il dress code? Noi ci rendiamo conto che è una questione complicata che più che risposte fa sorgere altre domande. Come: se l’obiettivo è il rispetto, allora in generale (lo sottolineiamo) non si dovrebbe prendere in considerazione anche la libertà individuale di ciascuno di essere semplicemente sé stesso?
Ma quindi?
Il dress code unisce o divide? Per assurdo entrambe le cose. Immaginare un mondo senza un implicito o esplicito codice di abbigliamento appropriato non sarebbe del tutto rispettoso, soprattutto delle culture altrui. Mentre, al contrario, delle rigide e invalicabili regole minerebbero l’espressione individuale favorendo quasi un “alienamento estetico”. Noi non possiamo avanzare nessuna verità certa circa l’argomento ma un consiglio possiamo darvelo. Se andate in un posto dove è richiesto un determinato dress code… abbiate sempre un piano B o in alternativa un cambio d’abito a portata di mano!
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