FOOD & BEVERAGE

20 Marzo 2025

Articolo di

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Nadia Afragola

Il gusto di Carlo Cracco

FOOD & BEVERAGE

20 Marzo 2025

Articolo di

Nadia Afragola
Carlo Cracco Intervista Soldoutservice
Chiara Schiaratura per Soldoutservice

Il gusto di Carlo Cracco

Nelle famiglie italiane non c’è nulla che venga discusso, analizzato, o su cui si scherzi più del cibo: a dirlo è Stanley Tucci, lo ricorderete sicuramente nelle vesti di Nigel nel celebre film “Il diavolo veste Prada”. Lo dice in apertura del suo libro “Ci vuole gusto”. Ed è proprio dal gusto che dovremmo partire per raccontare un cuoco dei nostri giorni come Carlo Cracco. Uno per cui la cucina è da sempre intesa come uno sfogo creativo. Anche. Ma non solo. È lo chef televisivo per eccellenza. Con la sua giacca bianca, quello sguardo che a intervalli ti gela ma appena apre bocca si fa carezza.

Il suo è un compito importante. Lui, direttore d’orchestra, alle prese con uno stuolo di musicisti, pardon cuochi, intenti ad accordare gli strumenti, accendere fuochi. All’ombra della Madonnina, in Galleria Vittorio Emanuele II, tra il Duomo e la Scala. Lui che ha realizzato il sogno del suo Maestro Marchesi. Impreziosire quel Salotto di Milano, in cui oggi più che mai pare si faccia il Paese e la sua economia. Siamo nel campo delle Meraviglie.

Chi è Carlo Cracco? Tutti pensano di conoscerla. Eppure…

No, non lo so; è difficile partire così, dobbiamo prenderla più larga.

La prendo più larga. Ai tempi del suo primo libro “Se vuoi fare il figo usa lo scalogno” era considerato un sex symbol. Colpa dello sguardo? O un po’ ci ha marciato?

Diciamo che ognuno ci vede quello che vuole, non c’è nulla di sbagliato o di male. Quello era un titolo bellissimo, venuto fuori parlando con chi lavorava insieme a me alla parte editoriale. Mi fecero una domanda: “… ma se dovessi fare qualcosa in più?”. Risposi istintivamente… Se vuoi fare il figo usi lo scalogno, e così diventò il titolo del libro. Il resto è vita vissuta. Non devo nascondermi o vergognarmi di quello che sono o di quello che ho fatto, anzi ne vado fiero.

Carlo Cracco look Zegna stile outfit

Look Zegna (Giacca “Il Conte”, Polo, Pantaloni)

Anni fa è sbarcato a Milano e da lì non si è più mosso. Cosa ha di speciale questa città?

Il discorso su Milano è lunghissimo e talmente abusato oramai. Mi sembra a volte quasi ridicolo quello che sento su questa città; personalmente ci ho sempre creduto. Ha sempre rappresentato – a prescindere dai periodi – un’opportunità. Non ho potuto aprire il mio primo ristorante a Milano perché non avevo la possibilità economica per farlo; quindi, l’ho aperto in Piemonte dove con poco sono riuscito a comprarne uno. Appena ho potuto sono tornato all’ombra della Madonnina.

Quindi, Milano non è poi così male?

Su Milano tutti si sfogano, si appoggiano e la usano. Molto dipende anche da cosa tu dai alla città, cosa puoi portare in più rispetto a tutto quello che è già stato fatto. Nel 2000 quando ho aperto il mio primo ristorante a Milano, parlo di Peck, tutti dissero “non capisci niente, qui non frega a nessuno del cibo”. Per loro in città si pensava solo ai soldi ma io a quei detrattori risposi: “io ci provo ugualmente”. Poi Milano è diventata quello che è. La memoria sembra essere corta, in generale: ricordiamo solo gli ultimi flash, mentre dimentichiamo tutta la storia che c’è dietro!

Ristorante Cracco interni tavolo lampada design Galleria Milano

Anche Milano l’ha, in qualche modo, scelta.

Non ho mai avuto un dubbio su di lei. Poi negli anni mi sono diretto anche in campagna, in Romagna con mia moglie Rosa, a Sant’Arcangelo, ma questo fa parte di un progetto di famiglia e di vita. È come un cerchio che si chiude. La nostra azienda agricola è nata dove già erano piantate le nostre radici e dove abbiamo trovato una situazione simile a quella in Galleria, a Milano. In entrambi i casi io ci ho visto qualcosa, nel mezzo ci sono poi tanti sogni, quello del mio maestro Marchesi, il mio… ognuno ne ha realizzati alcuni. Siamo ripartiti in qualche modo dalla terra per poi arrivare alla tavola, dove i cuochi fanno di solito l’ultimo miglio, l’ultimo pezzettino, scegliendo il meglio che poi porteranno in tavola. Abbiamo anche un camioncino che vende verdure. Quei prodotti mi permettono di tenere i piedi per terra.

Il suo ristorante si trova in Galleria Vittorio Emanuele II. Un posto di rara eleganza. Che pensa quando si trova a passeggiare per le sale, fuochi spenti, a fine servizio?

La fortuna aiuta gli audaci. Mi viene spesso questa audacia, come il giorno in cui capii che ero stanco di stare sottoterra. Dopo vent’anni, mi mancava la luce del sole. Dovevo cambiare ma cercavo qualcosa di unico. Non era per ego, volevo fare qualcosa di diverso.
La Galleria è arrivata per caso e all’epoca ciò che vediamo oggi non esisteva. Cercavo un immobile, il Comune mi propose questo. Dissi di no, troppo complicato, scomodo.

Carlo Cracco Chef Intervista Soldoutservice

E poi?

Andai a vederlo per levarmi il pensiero dalla testa. Era tutto distrutto, poi mi sono affacciato alla finestra e ho provato a immaginare qualcosa di bello là dentro. Era il mio posto. Fu indetta una gara d’appalto. La vincemmo, presentammo un progetto in cui nero su bianco fu illustrato quanto avrei voluto fare e che poi abbiamo realizzato. C’è stata una montagna di lavoro, di sacrifici, che continuano, perché non è mica finita.
È stato per me un nuovo inizio e per tornare alla domanda iniziale, Chi è Carlo Cracco? Be, non credo di essere catalogabile; non sono quello o quell’altro, sono l’insieme di tutto.

Carlo Cracco Ristorante Galleria Milano

Look Zegna (Giacca “Il Conte”, Polo)

È l’erede che più di altri avrebbe reso fiero Marchesi. Cosa le disse quando le fece vedere la Galleria?

La cosa più bella che mi disse quando venne qui fu: “Ricordi che anch’io volevo un ristorante in Galleria?”. Gli risposi di sì e lui aggiunse: “…bravo, perché tu ci sei riuscito”. Era venuto a trovarmi durante i lavori, non smetteva di ripetermi: “Non so come tu faccia ma bravo” e quello fu il complimento più bello ed emozionante ricevuto da lui, al dì là dei piatti e della sua immensa eredità. Era una cosa nostra, una questione tra cuochi, difficile da comprendere.

Non basta, però, essere solo bravi in cucina.

Non basta solo essere bravi a cucinare – ovviamente quella parte è fondamentale – poi c’è tutto il resto, ciò che creiamo insieme ai ragazzi. Facciamo parte di un mondo che non è dei più sostenibili quindi dobbiamo fare azioni virtuose, migliorare sotto questo aspetto! È cambiato tantissimo il nostro mondo negli ultimi 30 anni, ci sono cose che solo chi ha una memoria vivida e ha frequentato i ristoranti anni orsono, può comprendere dove siamo arrivati oggi e quanto sia cruciale far capire certi passaggi alle nuove generazioni. Viene sempre trascurato un aspetto, e raramente espresso con sufficiente forza: il nostro, quello del cuoco, è un mestiere, autentico e serio. Non è un passatempo e non lo fai per raggiungere la notorietà. Non fatevi ammaliare dalle illusioni superficiali legate al mondo della ristorazione. Prima di raggiungere la fama c’è un lungo percorso da fare, richiede una passione profonda e una dedizione assoluta. Solo alla fine di questo viaggio potrai, forse, ottenere risultati che meriti.
Se un ragazzo oggi decide di fare dei sacrifici per lavorare con noi, dobbiamo sostenerlo in ogni modo possibile perché quello è in fin dei conti il nostro compito principale come professionisti. Non si tratta di creare piatti esteticamente belli, quello è il divertimento. In quel piatto occorre essere in grado di mettere tutte le nostre riflessioni personali e le idee più intime, ma per arrivare a quel risultato finale straordinario bisogna fare tutto il resto, fare i compiti, tanti, lunghi e serve anche una buona dose di pazienza.

Carlo Cracco Pane Ristorante Galleria Intervista Soldoutservice

Cosa la emozione ancora del cibo?

Le persone. Le emozioni legate al cibo nascono dall’interazione con la gente seduta al nostro tavolo. Vedi lo stupore e l’estasi quasi palpabile nei loro volti. Ieri abbiamo avuto degli ospiti olandesi, si sono dimostrati entusiasti, ero quasi imbarazzato. Mi hanno raccontato delle loro esperienze culinarie precedenti. È come se avessimo instaurato un legame speciale. Ecco, quell’emozione condivisa è senza dubbio la cosa più bella da vivere per un cuoco.

Trota in Bella Vista piatto Chef Carlo Cracco menu terza portata

TROTA IN BELLA VISTA

Riprende le preparazioni degli anni ’80, dei grandi pesci bolliti, gelatinati e poi ingrassati con varie maionesi.

La trota è semplicemente marinata. Questa viene poi lucidata con un gel di moscato, alla quale viene addizionata della carne lardo, una piccola parte acetica e del ginepro. Al posto della maionese è stata creata una salsa di ricci di mare e burro.

Invece le Stelle (Michelin) non la emozionano più?

Le Stelle Michelin rivestono un’importanza fondamentale nel nostro lavoro. Sono uno dei pochi criteri universali riconosciuti a livello globale, sono degli indicatori della qualità dei ristoranti. Tutto il mondo sa cosa vuol dire avere una Stella Michelin e sono cruciali non solo perché celebrano i nostri sforzi ma anche perché forniscono una forma di giudizio autorevole capace di attrarre clienti e appassionati. Servono a tutto il sistema, non c’è nulla al mondo che anche solo si avvicini a loro. Quando intraprendi questa carriera, vivi costantemente con quell’idea in testa. Ho iniziato a lavorare a 16 anni e sono cresciuto con la Guida Michelin, grazie anche all’influenza ispiratrice di figure emblematiche come Marchesi, il primo chef italiano ad ottenere tre Stelle Michelin e il primo a decidere volontariamente di restituirle. Ho preso la mia prima Stella all’età a 30 anni, ero in Piemonte. Ho sempre avvertito un grande supporto dalla Michelin.

Però ora qualcosa all’appello manca (la seconda Stella). Sarebbe sbagliato negarlo. Non trova?

Il bello è quello. Puoi dire qualsiasi cosa ma la Michelin ha le sue regole. Era una guida locale: nata in Francia ai primi del 1900, è arrivata fino ad oggi con una presenza oramai globale. Ci sono paesi ansiosi dell’arrivo della guida Michelin perché consapevoli che contribuirà a valorizzare non solo i ristoranti ma tutto ciò che gli ruota intorno. Parliamo di un sistema: dal contadino che produce le materie prime, all’artigiano che disegna un piatto, fino ai produttori vitivinicoli.
Pensate poi, anche solo a cosa è diventata la televisione grazie alla cucina o la cucina grazie alla televisione. Nessuno ci credeva in Italia. Qui sono tutti bravi, c’è la mamma che cucina, la nonna, lo zio, il fratello: uno bravo c’è per forza, mica siamo in Australia o in America. E tutti sono diventati dei Masterchef.

chef Carlo Cracco intervista Soldoutservice

Che vuol dire?

Che tutto è importante. Non è che c’è qualcosa di meno importante nel mondo della cucina: che sia una trattoria, un’osteria, un bar, un caffè, una pasticceria, una pizzeria o un ristorante. Se è fatto bene ne beneficiano tutti.
È come avere tanti capolavori all’interno di un museo: più ne hai e più gente arriva. La stessa cosa vale per i ristoranti. Se fossimo tutti uguali in Italia, parlo della ristorazione, sai che noia! Abbiamo la fortuna di essere diversi: vai in Sicilia e trovi il siciliano con i suoi gusti; vai in Alto Adige e trovi l’alto atesino con i suoi sapori; a Torino trovi una cosa ancora diversa. Ed è quella la nostra fortuna! Questa cultura del cibo, dobbiamo solo farla crescere, valorizzarla e proteggerla.

L’adrenalina come si tiene a bada? Si ammaestra con l’età o diventa altro?

Mi dicevano che per fare questo mestiere ci vuole polso. Gli chiesi se dovessi essere morbido e si misero a ridere. Oggi ai ragazzi cerchi di far capire l’obiettivo a cui stanno mirando. Non tutti sono abituati a gestire quella componente adrenalinica e neppure la dose di sacrificio che il nostro lavoro richiede, parliamo anche di uno sforzo fisico notevole. Devi performare in cucina mentre gestisci una brigata composta da persone completamente diverse tra loro dove tutte devono seguire le tue indicazioni. Possono farlo bene oppure benissimo o in modo eccellente ma sono sempre tre livelli e probabilmente anche di più che ti troverai a gestire e sta a te tirare fuori il meglio dai ragazzi. Ognuno di loro va stuzzicato ed incentivato ma talvolta anche sgridato. Devi dirgli ciò che sta facendo bene rispetto alle cose su cui invece deve migliorare. È proprio come allenarsi! Sei debole su quel lato lì quindi devi rafforzarlo.

Ristorante Cracco interni bar Galleria Milano

Ristorante Cracco interni design

Quando si è accorto di essere diventato un maestro, capace di formare la generazione di cuochi del futuro? Gli ultimi in ordine di tempo sono Luca Sacchi e Mattia Pecis

Non te ne rendi conto realmente, lo fai a prescindere dal riconoscimento. Personalmente però non mi piace il termine “maestro”.

Diciamo allora mentore per usare un termine caro alla Guida Michelin.

Sì, meglio. Rappresenti comunque un esempio. Mi piace ispirare i ragazzi nel senso buono del termine: se vedo qualcuno con delle potenzialità superiori cerco sempre di valorizzarlo mentre chi fa fatica ha bisogno semplicemente del tempo necessario affinché possa tirar fuori i suoi punti di forza.

Eppure, oggi sembra non ci sia tempo.

C’è sempre meno tempo ma è sbagliato privare i ragazzi della possibilità d’imparare con i loro tempi. Ci sarà chi corre velocemente rispetto ad altri che magari cammineranno. Ma è la vita e fa parte del nostro percorso.

Ristorante Cracco sala G. Mengoni interni design

Sala G. Mengoni, Ristorante Cracco

Milano, Portofino, Londra e presto, Roma. Come si scelgono certi progetti, sapendo di non potersi permettere giri a vuoto?

Abbiamo oltre cento persone nella nostra squadra. Quando si presenta qualcosa d’interessante andiamo ad analizzare se sia effettivamente nelle nostre corde e quale può essere il nostro valore aggiunto. Ogni volta è come ricominciare da capo, ma in maniera diversa. Questo approccio ti permette di avere sempre la testa molto aperta, di valorizzare tutto quello che fai e soprattutto di creare valore attorno a quello che hai fatto.

Roma. Al nuovo Corinthia avrà la responsabilità di tutti gli “outlets”, dalle colazioni ai cocktail passando per il ristorante e il room service. Preoccupato?

Non direi. Roma è una città che può dare tantissimo ancora alla gastronomia e a tutta l’ospitalità. Ed è anche diversa da Milano. Là c’è l’albergo; qui no, quindi ho la possibilità anche di interagire con la clientela che sta in casa. Quello che farà la differenza sarà solamente la squadra. Non serve fare il milanese a Roma; l’obiettivo è fare bene ciò che sappiamo fare cercando di capire cosa ci viene chiesto e cosa possiamo fare noi per valorizzarlo.

In Romagna c’è la sua azienda agricola biologica, vuole mica fare il contadino?

No, non credo di essere portato per questo lavoro, duro e quotidiano. La terra non conosce sabati o domeniche e neppure lunedì, però mi piace capire le cose, ad esempio dove bisogna tagliare per far crescere le vigne. Stare lì mi aiuta un po’ a resettare e a vivere tutto quanto in maniera più equilibrata.

Carlo Cracco Chef stile orologio Rolex

C’è la cucina d’autore, quella tradizionale e volendo quella locale. Perché tendiamo a metterle una contro l’altra?

Fondamentalmente sono mondi diversi che coesistono. Se ho voglia di mangiare una pizza posso farlo anche senza pensare al prezzo. Non necessariamente deve costare poco. Devo però garantire qualità e unicità. Non voglio fare una pizza che costa 5 euro ma una fatta con farine biologiche, con impasti leggeri, digeribili, con un lievito madre curato a dovere. In Galleria facciamo delle brioches meravigliose: è un lavoro infinito ma cerchiamo comunque di restituire qualcosa ai clienti, quando vengono nel nostro bar e spendono 3 euro o poco più per un caffè e un cornetto. Non tutti possono comprendere certe sfumature ed ovviamente questo non deve essere considerato una colpa.

Parlo del sistema. Il suo. Quello che rappresenta. Sono finite le idee, vero? Come ne usciamo?

La cucina vive di periodi; questo è il periodo in cui funziona ancora tutto ciò che è nordico, però ci sono delle grandi influenze dal Sud America. Diciamo che sulla parte creativa non c’è tantissimo, non ci sono picchi.

Chef Carlo Cracco intervista Soldoutservice

Ristorante Cracco Galleria Milano

Come ne usciamo?

Semplicemente con la cucina. Ci sarà qualcuno che si inventerà qualcosa e probabilmente tirerà fuori un nuovo percorso. Non è che tu lo cerchi: se ti viene lo fai, se no lo farà qualcun altro. Se Ferran Adrià è arrivato lì dove è arrivato, è perché aveva in mente una cosa e l’ha fatta; giusta o sbagliata che sia, ma l’ha creata. È suo tutto quel movimento, ecco perché è riconosciuto come un grande creativo.

Dopo Masterchef oggi è il tempo di Dinner Club. Ha condiviso la tavola con personaggi eccezionali. Cosa resta di una simile esperienza?

Il racconto del nostro paese e l’umanità dei personaggi che lo abitano. Mi ha fatto vedere cose che non pensi ci siano più, tutte idee folli. Parliamo di personaggi che vivono in posti sperduti ma sono l’anima di quei luoghi. Incontriamo cantastorie, siano essi artigiani del formaggio o dei salumi. Il nostro compito è conoscere ciò che c’è dietro a un paese o a un mestiere. Un format televisivo tutto italiano che proseguirà e che si sta sviluppando anche all’estero a partire dalla Germania, dal Canada.

Rosa Fanti Carlo Cracco dialogo Ristorante Milano Galleria

Rosa Fanti e Carlo Cracco

Che marito e che padre è Carlo Cracco? Se non ricordo male svezzò uno dei suoi figli a suon di piccione, al sesto mese.

Sono il marito migliore perché so fare da mangiare. Sono bello noioso sull’ordine e sulla pulizia quindi avermi in casa è un po’ come avere una colf. Diciamo che Rosa non può lamentarsi su questo fronte. Per tornare al piccione… è l’unica carne rossa che non fa male perché di volatile, è più leggera del bovino. Il pediatra mi lasciò carta bianca e io agii di conseguenza. E comunque un neonato non sa mica cosa sta mangiando e io non vado certo a spiegarglielo. Ho usato anche il piccione per conquistare Rosa, durante la nostra prima cena. È andata bene lì e l’ho riproposta anche ai figli.

Chi scegli i suoi outfit?

Guardo la qualità dei tessuti ma cerco da sempre abiti che mi facciano sentire bene, senza particolari costrizioni. Non sono affezionato ad un capo in particolare.

Carlo Cracco Soldoutservice look Zegna

Look Zegna (Giacca “Il Conte”, Polo, Pantaloni)

Che musica ascolta?

Nulla di commerciale. Kid Francescoli, Lp Giobbi.

A Milano non c’è serata in cui non si improvvisi una partita a burraco. Sua moglie ne è matta, lei che giocatore è?

A me è sempre piaciuto il gioco, delle carte in particolar modo. Da quando c’è il burraco, diciamo che sono abbastanza addicted. Partecipiamo anche a dei tornei, uno l’ho vinto contro Rosa, a Maratea, che soddisfazione! Funzioniamo poco insieme a carte, lei è più brava a… camuffare e anche a giocare. Io poi sono quello fortunato in amore, non si può avere tutto.

Milano e le Olimpiadi. Che cosa si aspetta?

Parliamo di uno dei tanti eventi che accadono in città che di più altri fanno capire come funzionano le cose qui. Perché Milano con la montagna non c’entra nulla. Un po’ come quando le Olimpiadi se le aggiudicò Torino: mica si sciava sotto la Mole? L’idea era vestire i panni del capofila per poi unire le montagne. Qualcuno dice sia un po’ dispersivo ma non lo trovo sbagliato, non è che tutti vanno a vedere tutto. Permetteranno a Milano di diventare ancora più internazionale e a noi di vivere dei momenti magici.

Carlo Cracco stile look Zegna Galleria

Look Zegna (Giacca “Il Conte”, Polo, Pantaloni, Mocassini)

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