Tra mondo dell’abbigliamento e universo del lusso ci sono differenze sostanziali che non riguardano solo i prezzi. Parliamo di esclusività, desiderabilità, qualità, storia del brand. Potremmo citare anche l’originalità se non fosse che sempre più spesso vediamo capi e accessori quasi identici tra una passerella e l’altra, come ci fa notare Diet Prada che in un post ha confrontato la borsa di Prada e quella di The Row praticamente identiche nel design che si differenziano nel prezzo per meno di 100 dollari: 5190 dollari per la borsa Margaux, 5100 per quella di Prada. Stessa cosa vale anche per i mocassini di diversi marchi: neri, in pelle, con il logo, spesso platform, oscillano da un prezzo di 790 dollari per quelli di Isabel Marant ai 1250 per le Monsieur Loafer di Bottega Veneta.

Per quello che riguarda i prezzi, sappiamo che da anni Chanel aumenta il cartellino delle sue borse – basti pensare che nel 1990 una borsa Medium Classic Flap Chanel costava 1.150 dollari, nel 2021 è arrivata a costare 7.800 dollari e oggi la ritroviamo a 11.100€ da prezzo di listino sul sito ufficiale – stessa cosa che fa Hermès. Gli aumenti delle due maison francesi sono sistematici e ci siamo abituati, però la cosa non sta riguardando soltanto Chanel e Hermès, ma coinvolge tutto il mondo della moda, e addirittura il mercato del second hand, generando non poche polemiche.

Sempre nel suo post, Diet Prada fa notare come uno short di Gucci, realizzato con appena un metro di tessuto, costi 2.600 dollari o come le ciabatte da spiaggia di Chanel abbiano un prezzo di 975 dollari. Si arriva a 26mila dollari per l’abito in chiffon caramello di Chloé, a 12mila per i maglioni di Loro Piana e a 15mila dollari per il cappotto di Saint Laurent in pelliccia ecologica che diventano 9.200 per il modello più corto. Giocando sull’esclusività Hermés ha messo in vendita una wicker basket in vimini con dettaglio in alligatore e pelle di vitello a 10,400 dollari. La particolarità di questa borsa? Non è il cliente a scegliere il colore ma l’ordine viene spedito in maniera del tutto casuale aumentandone così l’unicità.

Per le maison la causa dell’innalzamento dei prezzi – talvolta spropositato (?) – è dovuta all’inflazione, al forte aumento del costo delle materie prime che le aziende hanno dovuto affrontare dopo la pandemia e con lo scoppio della guerra in Ucraina che ha gonfiato i costi in ogni settore, anche in quello della moda.

Oltre ai motivi economici, è plausibile in realtà che l’aumento dei prezzi corrisponda a una precisa strategia di marketing che riguarda il posizionamento dei brand: più costa, meno persone lo comprano, più esclusività e desiderabilità raggiunge quel marchio. Anche perché l’industria del fashion si basa sui top client, i clienti abituali che di certo non badano all’aumento dei cartellini, e non dalle persone che risparmiano per lungo tempo per riuscire ad avere un determinato prodotto.

Per l’analista di Bernstein Luca Solca, al 5% dei clienti di lusso si deve oltre il 40% delle vendite. I brand stanno provando a tirare la corda per aumentare ancora di più i prezzi, targetizzando un pubblico più ristretto che ha però maggiore possibilità di spesa e di acquisto. La domanda è: sta funzionando? Certo, l’esclusività è sempre stata un pilastro del mercato del lusso ma sembra ora che la fetta di torta si stia facendo sempre più piccola e pare destinata a diminuire dal 5 all’1%.

Sulla base dei dati delle carte di credito della Citibank, le vendite di prodotti di lusso negli Stati Uniti sono costantemente diminuite dopo aver raggiunto il massimo post-pandemia, e anche le previsioni Q1 del gruppo Kering prevedono un calo del 20% dei ricavi. I marchi continuano dunque a tirare la corda ma quanto ci vorrà prima che si spezzi?