L’addio dei direttori creativi
STYLE
22 Maggio 2023
Articolo di
RedazioneL’addio dei direttori creativi
Sono mesi molto concitati quelli che il fashion system sta vivendo, in una danza strutturata di addii e benvenuti, per le poltrone più ambite dei marchi di moda: quella dei direttori creativi. Se dovessimo guardarci indietro, tutto è iniziato con l’addio di Alessandro Michele, una figura quantomai importante sullo scacchiere organizzativo dei marchi high-end che, a ruota, ha portato con sé tutta una serie di riflessioni e mosse da parte di altri brand.
L’ultima separazione di rilievo, in termini cronologici per l’ambito dei direttori creativi, è quella che ha visto protagonista Ludovic de Saint Sernin e Ann Demeulemeester dopo che, a quanto riportato da BoF, ci sarebbero state delle divergenze con il comparto dirigenziale del brand. Ciò che però fa riflettere, è che questi addii non solo si fanno sempre più frequenti, ma sono sempre più veloci, tanto che Ludovic de Saint Sernin, fondatore di un marchio eponimo, avrebbe guidato la maison belga per solo una stagione, un lasso di tempo in cui è impossibile imprimere una direzione creativa strutturata.
Pochi giorni prima, invece, era stato Bally ad interrompere la collaborazione con Rhuigi, anch’esso dopo pochissimo tempo, ovvero solo un anno e mezzo dalla sua nomina, e la notizia viene dopo che anche Lanvin ha salutato Bruno Sialelli, inaugurando una squadra creativa chiamata Lanvin Lab, e ancora prima c’è stato l’addio tra Louise Trotter e Lacoste, a cui è subentrato un team di designer interni. La lista sarebbe davvero lunga, e meriterebbe l’inclusione anche di Tom Ford dall’omonimo marchio, e di Jeremy Scott e Moschino. Anche in Italia ci sono stati fenomeni molto simili, con il duo GmbH che ha lasciato Trussardi, poiché, a quanto pare, la loro visione non era più in linea con l’idea di rilancio del brand.
Come sottolineato da numerosi insider del fashion system, da quando la moda si è aperta alle masse, c’è stata un’evoluzione che è partita da un couturier per arrivare al designer e ai direttori creativi, che però porta su di sé non solo la responsabilità delle collezioni, ma anche tutta la struttura del marchio, divenendo così il volto principale della maison.
Tornando agli inizi del nostro discorso, è stato proprio con Alessandro Michele e Gucci che questo sistema, talvolta pericoloso, è stato smantellato, come avevamo già analizzato qualche mese fa, poiché nell’immaginario collettivo la casa fiorentina era diventata tutt’uno con il direttore creativo, la cui personalità e il cui estro artistico aveva assolutamente inghiottito la maison.
Lo stesso si può dire di Jeremy Scott con Moschino, che, nonostante per un decennio abbia incarnato perfettamente lo spirito e il lascito del brand, giocoso, irriverente, anticonformista, il processo di identificazione operato dall’opinione pubblica è stato vorace e non gli ha lasciato scampo, portando queste forti e grandiose personalità a sovrastare l’identità della maison stessa.
E se la moda è sempre stata scandita da una certa stagionalità, con la presenza di tali pilastri, o perché no, idoli veri e propri, nel senso di immagini in cui riflettersi, ha donato a queste ultime la possibilità di sopravvivere ai meccanismi del sistema, presentando collezioni evergreen che non risentissero di temporaneità di sorta, ma a che prezzo?
Al prezzo che, a poco a poco, il marchio venisse oscurato da tutto ciò che vi orbita attorno. E così, da couturier, a stilista, a designer, a direttore creativo, le maison si riappropriano della dimensione collettiva della creatività, costituendo studi di designer interni, e talvolta anonimi, a cui affidare le creazioni stagione dopo stagione, perché non vogliono più avere frontman idoli, quanto piuttosto una stabilità che fosse legata all’heritage del brand, alle sue creazioni, e al suo sinuoso movimento, stagione dopo stagione, tra le mode passeggere e quelle più stabili.
È comunque chiaro che l’incertezza sia tanta, poiché, oltre ad individualismi di sorta, siamo di fronte ad un cambiamento inesorabile del fashion system, che ci porta a mettere in discussione quanto eravamo certi di conoscere, lasciando tutte le nostre aspettative appese a un filo.
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