Muse e celebrity quanto contano nel successo di uno stilista?
STYLE
28 Ottobre 2024
Articolo di
Camilla BordoniMuse e celebrity quanto contano nel successo di uno stilista?
Stilista di successo si nasce o ci si diventa? Risolvete questo enigma e sicuro avrete le porte del fashion system sempre aperte tuttavia. Vi avvisiamo, la questione non è facile come sembra. Nel panorama della moda contemporanea non ci sono solo stilisti (e invero, non ci sono mai stati solo loro) ma anche muse, icone, celebrity, influencer che, volente o nolente, sono quelle che vi fanno seguire un marchio rispetto ad un altro. Quelle che vi spingono a mettere più like a un post, o quelle che persino vi fanno cambiare opinione rispetto all’allure di una casa.
Di fatto, ed è inutile negarlo, il legame tra celebrità (qualsiasi personaggio definito tale oggi, ndr) e direttori creativi è più intricato di quanto sembri. Non si tratta semplicemente di testimonial e designer che si abbracciano sulla passerella. Al contrario è una relazione simbiotica, talvolta borderline, che può decidere il destino di intere collezioni e, di riflesso, contribuire al successo o all’insuccesso del marchio.
Seppur il panorama socio-culturale fosse diverso, chiediamoci se la Birkin senza Jane Birkin avrebbe avuto lo stesso hype. Se la fama di Jean Paul Gaultier non sarebbe arrivata più tardi senza Madonna e suoi corpetti. Se le silhouette di Yves Saint Laurent avessero preso una piega diversa senza la profonda amicizia con Betty Catroux. Ed ora la vera domanda: sono le icone e le celebrity a fare il direttore creativo, o è il solo direttore creativo a essere il fautore del proprio successo?
Celebrity e muse, tra amici e marketing
Direttori creativi e celebrity sembrano gravitarsi attorno reciprocamente. Secondo una chiave di lettura pragmatica più che umana, nella moda oggi è fondamentale mischiare l’arte con pratiche commerciali ben vestite. Le muse dei designer che ispirano o vestono le loro collezioni, sono quindi potenti leve di marketing che riescono a trascinare le masse e a trasformare una sfilata in un momento da seguire, amare, riprendere pubblicamente su Instagram.
D’altra parte in un’epoca in cui l’algoritmo domina, l’approvazione di una star può influenzare l’hype e far raggiungere un valore di miv molto alto. Pensate, per esempio, a come Balenciaga con Demna Gvasalia abbia saputo sfruttare l’aura magica di figure come Kim Kardashian per ribaltare l’immaginario della griffe, portandolo a essere simbolo di anti-moda e provocazione sociale, rimodellando anche lo storico heritage con abiti haute couture e looks che bene si adattano a testimonial più maturi come Isabelle Huppert.
La narrativa della special crew non è cosa nuova, però c’è una differenza fondamentale tra quella del passato e quella di oggi: se prima il côte di contorno poteva influenzare dal margine, ora è parte integrante del sistema di branding.
Se andate su YouTube e digitate “Who is Sabato De Sarno?” vi ritroverete davanti a un mini documentario di circa venti minuti narrato proprio dall’attore cool del momento Paul Mescal. Il cortometraggio svela parte di quello che ha preceduto il debutto dello stilista da Gucci, il backstage se così volete chiamarlo. Però in questo caso specifico riflettiamo: chi sarebbe De Sarno senza la voce fuori campo? Alcuni alzerebbero le spalle, altri direbbero “esattamente Sabato De Sarno… ma forse con un po’ meno appeal”.
Il direttore creativo tra talento e strategia
Quando nella moda di oggi è facile svegliarsi una mattina colpiti dall’ennesimo terremoto creativo che vede la dipartita di un designer a favore di un altro, è naturale chiedersi: gli stilisti sono davvero scelti per il loro talento, o più per la loro capacità di generare hype mediatico? La risposta è complessa e potrebbe essere dolorosa per i puristi.
Nel 2024 la scelta di una guida allo stile dipende quasi sempre dalla combinazione di due aspetti. Il talento e l’abilità strategica-militare di vincere non tanto la guerra, ma almeno le battaglie di comunicazione sulle piattaforme new gen. Alessandro Michele, Simon Porte Jacquemus, Jonathan Anderson, Giuliano Calza, Demna Gvsalia e Pharrell Williams (anche se lui, sarebbe un caso particolare da trattare, ndr) sono, ad esempio e ognuno a modo proprio, dei maestri nel costruire una narrativa ingaggiante e servirla ai fan come un cocktail di talento, marketing e cultura pop.
È vero, le celeb o la squad vip che accompagna un designer sono a tutti gli effetti anche dei veri e propri business partner, però è altrettanto corretto dire che i grandi gruppi vogliono un direttore creativo che sia a sua volta una star, un’icona.
Così anche marchi fast fashion come Zara non si tirano indietro in questo gioco, continuando così la loro ascesa dirompente ingaggiando muse posh come Cindy Crawford o nomi cool come Stefano Pilati per le loro capsule collection limited edition.
La verità è che ci troviamo davanti a una complessa equazione, dove alla domanda: «quanto conta il côte di contorno nel successo di un direttore creativo?» si dovrebbe rispondere solo nel modo più oggettivo possibile, accettando il fatto che la moda è come una partita a poker. Bisogna giocare le carte nel modo giusto, anche quando la posta è alta.
advertising
advertising