Quale sarà il futuro di Supreme?
STYLE
11 Novembre 2020
Articolo di
Aldo AbronzinoQuale sarà il futuro di Supreme?
È notizia delle ultime ore che Supreme abbia cambiato proprietario in seguito ad un’offerta record da oltre 2 miliardi di dollari recapitata da VF Corporation (holding che gestisce marchi del calibro di Vans, Timberland e The North Face) al Carlyle Group, precedenti investitori che avevano rilevato le quote dell’azienda nel 2017.
Dopo esserci ripresi dallo stupore generale, sembra essere arrivato dunque il momento di tirare le somme dell’accaduto a mente fredda, analizzando tutti gli scenari possibili ai quali potremo assistere nel prossimo futuro.
Nonostante al momento sembrasse un’opzione remota vista anche la situazione in cui ci troviamo, potevamo comunque immaginare che Carlyle Group, famoso per i suoi piani di crescita aziendale che non vanno oltre i 5 anni, avrebbe presto preso in considerazione l’idea di vendere il brand, dopo aver contribuito senza ombra di dubbio a favorirne l’esplosione sotto più aspetti.
Negli ultimi 3 anni Supreme ha vissuto una crescita esponenziale, che gli ha permesso di raggiungere la vetta del fashion system contemporaneo, diventando un’icona di stile per le nuove generazioni e assumendo sempre più un ruolo da modello per tutte le altre realtà emergenti d’ispirazione streetwear. Se di recente la cultura urban ha acquisito tutta questa influenza a livello internazionale, arrivando a contaminare anche le ultime collezioni delle Maison di lusso, in fondo il merito è anche un po’ di Supreme.
In un lasso di tempo così breve il brand newyorkese è arrivato dunque a triplicare il proprio fatturato, aprire diversi punti vendita in giro per il mondo e stringere accordi con altre aziende che hanno completamente rivoluzionato il suo modus operandi, diventando ormai un punto di riferimento per ogni appassionato.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: è stato giusto vendere nuovamente? E qualora lo fosse stato, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Iniziamo rispondendo alla prima domanda: ovviamente si. E la nostra ipotesi non contempla solo il punto di vista dei venditori, che naturalmente hanno ottenuto un guadagno esorbitante da questa operazione, portando a termine con successo un progetto iniziato ormai 3 anni fa; ma anche quello di noi acquirenti, che trarremmo profitto dalla vendita nella misura in cui i nuovi proprietari non vorranno di certo sfigurare all’inizio, e dunque possiamo aspettarci una serie di importanti novità già da qui ai prossimi mesi.
Nella vita le certezze sono davvero poche, ma probabilmente una di queste è che Supreme non perderà mai la sua vera identità. Il dubbio più asfissiante manifestato da parte del pubblico sia nel 2017 che oggi è sempre lo stesso: tutti temono che un passaggio di proprietà possa comportare alcune importanti modifiche delle strategie di marketing dell’azienda, rivoluzionando l’essenza del brand in ottica di guadagni più lauti.
A questo proposito, vogliamo dunque rassicurarvi: James Jebbia, ideatore e founder di Supreme, non perderà la posizione di comando all’interno del CdA dell’azienda, così come non era accaduto 3 anni fa.
Stando anche alle dichiarazioni rilasciate dai vertici di VF Corporation, non esattamente dei novellini nel settore, l’intento del gruppo è quello di portare avanti con continuità il lavoro iniziato ormai quasi trent’anni fa dal brand, senza snaturarne l’essenza e soprattutto senza perdere credibilità.
Ovviamente dovremo aspettarci piani più ambiziosi, magari iniziative che puntino l’asticella verso l’alto come l'apertura di altri punti vendita fisici sparsi per il mondo, o ancora progetti a lungo termine che ci porteranno chissà dove, come nuove inedite collaborazioni. Ma questo deve essere per forza un elemento negativo?
È logico pensare che, nel momento in cui una holding compia un investimento di questa portata, di certo non si tratti di una scelta casuale, ma di un progetto ben studiato e soprattutto con ampi margini di crescita e di guadagno.
Il marchio Supreme è ormai un marchio conosciuto in tutto il mondo, e sarebbe quasi utopico poter pensare ancora oggi che un giorno possa recuperare nuovamente quel ruolo da “brand di nicchia”, conosciuto da pochi appassionati che in breve tempo ne diventavano anche cultori. Un’idea del genere era sbagliata già nel 2017, figuriamoci oggi!
Dobbiamo abbandonarci all’idea che ormai Supreme rappresenti una vera e propria istituzione nel fashion system globale, nonostante non abbia quasi niente in comune con le altre aziende nella sua stessa posizione, ma in quanto tale ha anche il dovere di accontentare un’utenza molto maggiore rispetto a quella di qualche anno fa.
Realisticamente parlando, non aspettiamoci dunque un ritorno al passato, ma piuttosto un deciso salto in avanti senza perdere coscienza delle proprie radici.
Dopo esserci ripresi dallo stupore generale, sembra essere arrivato dunque il momento di tirare le somme dell’accaduto a mente fredda, analizzando tutti gli scenari possibili ai quali potremo assistere nel prossimo futuro.
Nonostante al momento sembrasse un’opzione remota vista anche la situazione in cui ci troviamo, potevamo comunque immaginare che Carlyle Group, famoso per i suoi piani di crescita aziendale che non vanno oltre i 5 anni, avrebbe presto preso in considerazione l’idea di vendere il brand, dopo aver contribuito senza ombra di dubbio a favorirne l’esplosione sotto più aspetti.
Negli ultimi 3 anni Supreme ha vissuto una crescita esponenziale, che gli ha permesso di raggiungere la vetta del fashion system contemporaneo, diventando un’icona di stile per le nuove generazioni e assumendo sempre più un ruolo da modello per tutte le altre realtà emergenti d’ispirazione streetwear. Se di recente la cultura urban ha acquisito tutta questa influenza a livello internazionale, arrivando a contaminare anche le ultime collezioni delle Maison di lusso, in fondo il merito è anche un po’ di Supreme.
In un lasso di tempo così breve il brand newyorkese è arrivato dunque a triplicare il proprio fatturato, aprire diversi punti vendita in giro per il mondo e stringere accordi con altre aziende che hanno completamente rivoluzionato il suo modus operandi, diventando ormai un punto di riferimento per ogni appassionato.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: è stato giusto vendere nuovamente? E qualora lo fosse stato, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Iniziamo rispondendo alla prima domanda: ovviamente si. E la nostra ipotesi non contempla solo il punto di vista dei venditori, che naturalmente hanno ottenuto un guadagno esorbitante da questa operazione, portando a termine con successo un progetto iniziato ormai 3 anni fa; ma anche quello di noi acquirenti, che trarremmo profitto dalla vendita nella misura in cui i nuovi proprietari non vorranno di certo sfigurare all’inizio, e dunque possiamo aspettarci una serie di importanti novità già da qui ai prossimi mesi.
Nella vita le certezze sono davvero poche, ma probabilmente una di queste è che Supreme non perderà mai la sua vera identità. Il dubbio più asfissiante manifestato da parte del pubblico sia nel 2017 che oggi è sempre lo stesso: tutti temono che un passaggio di proprietà possa comportare alcune importanti modifiche delle strategie di marketing dell’azienda, rivoluzionando l’essenza del brand in ottica di guadagni più lauti.
A questo proposito, vogliamo dunque rassicurarvi: James Jebbia, ideatore e founder di Supreme, non perderà la posizione di comando all’interno del CdA dell’azienda, così come non era accaduto 3 anni fa.
Stando anche alle dichiarazioni rilasciate dai vertici di VF Corporation, non esattamente dei novellini nel settore, l’intento del gruppo è quello di portare avanti con continuità il lavoro iniziato ormai quasi trent’anni fa dal brand, senza snaturarne l’essenza e soprattutto senza perdere credibilità.
Ovviamente dovremo aspettarci piani più ambiziosi, magari iniziative che puntino l’asticella verso l’alto come l'apertura di altri punti vendita fisici sparsi per il mondo, o ancora progetti a lungo termine che ci porteranno chissà dove, come nuove inedite collaborazioni. Ma questo deve essere per forza un elemento negativo?
È logico pensare che, nel momento in cui una holding compia un investimento di questa portata, di certo non si tratti di una scelta casuale, ma di un progetto ben studiato e soprattutto con ampi margini di crescita e di guadagno.
Il marchio Supreme è ormai un marchio conosciuto in tutto il mondo, e sarebbe quasi utopico poter pensare ancora oggi che un giorno possa recuperare nuovamente quel ruolo da “brand di nicchia”, conosciuto da pochi appassionati che in breve tempo ne diventavano anche cultori. Un’idea del genere era sbagliata già nel 2017, figuriamoci oggi!
Dobbiamo abbandonarci all’idea che ormai Supreme rappresenti una vera e propria istituzione nel fashion system globale, nonostante non abbia quasi niente in comune con le altre aziende nella sua stessa posizione, ma in quanto tale ha anche il dovere di accontentare un’utenza molto maggiore rispetto a quella di qualche anno fa.
Realisticamente parlando, non aspettiamoci dunque un ritorno al passato, ma piuttosto un deciso salto in avanti senza perdere coscienza delle proprie radici.
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