È capitato a tutti, almeno una volta nel corso dell'intero periodo di restrizioni applicate dai vertici governativi, di interrogarsi su quali saranno le ripercussioni per il mondo dello shopping e della vendita fisica di capi d'abbigliamento, con particolare occhio di riguardo nei confronti dei problemi della disinfezione dei vestiti, che dovranno essere sanificati ogni volta che un cliente andrà a provare un determinato indumento riponendolo poi al suo posto.



Nelle ultime ore sono state ufficializzate alcune tra le misure che possiamo prevedere verranno adottate dalla maggior parte dei retailers fisici, consistenti nell'acquisto e nella messa a punto di particolari apparel sanitizers che, grazie all'utilizzo di una particolare tecnologia che vedremo più nel dettaglio proprio nelle prossime righe, consentiranno alla clientela di poter provare i capi desiderati senza alcun rischio per la propria incolumità.

La tecnologia dei sempre più concreti sanificatori di abbigliamento si basa per l'appunto sullo sfruttamento della UV-C Led Technology, più appropriatamente definita come "radiazione ultravioletta germicida": processo di purificazione ambientale e non che utilizza la luce ultravioletta per inattivare i microrganismi, principalmente attraverso la reticolazione dei nucleotidi di timina nel DNA e dei nucleotidi uracile nell’RNA, che bloccano la replicazione.



I primi brevetti di tale tecnologia sono stati sperimentati oltre 15 mesi fa, con ottimi risultati sulle sperimentazioni eseguiti su Make-up testers, che presentavano problemi batterici ben più consistenti rispetto alla più "semplice" e neutralizzabile molecola di coronavirus: chissà se questo potrà effettivamente andare a costituire il futuro dello shopping vis-a-vis?