Una particolarissima forma di concreta attuazione del concetto di sostenibilità viene perseguita, secondo le ricerche recentemente pubblicate da "Fashionista",  una delle testate di moda più affermate dell'intero settore, in via principale dalle più recenti generazioni, coincidenti rispettivamente con quella dei "Millennials", ossia quella categoria comprendente tutti gli individui nati tra la fine degli anni '80 e la metà degli anni '90, e con la tanto discussa "Generazione Z", ovvero l'insieme comprendente le nascite verificatesi tra la metà degli anni '90 e i primi anni 2000.

Quella dei giovanissimi andrebbe infatti a rappresentare la fascia d'età alla quale si deve il merito della rinascita del concetto di "second-hand clothing", che nel caso dei Millennials e dei Z-ers si traduce in un commercio di abiti usati decisamente più intensivo, ricercato ed oneroso rispetto alla classica concezione e finalità per la quale nasce il mercato di seconda mano.



Secondo le recenti dichiarazioni di Sam Blumenthal infatti, un giovane su 3 si occuperà, nel corso dell'anno 2020, di acquistare almeno un capo di seconda mano, andando a revitalizzare una concezione che, in seguito all'avvento delle grandi catene fast-fashion, andava progressivamente a perdere di senso.

Grazie allo spirito d'iniziativa e alle travolgenti passioni della categoria sociale soggetta maggiormente a crictiche e ad osservazioni molto spesso fondate su visioni anacronistiche e più che superate operate dalle generazioni più mature, il settore dell'abbigliamento sta finalmente conoscendo una grandissima evoluzione verso il raggiungimento di un bilanciato equilibrio in termini di consapevolizzazione e presa di coscienza dell'importanza di abbattere gli sprechi.